TRAVAGLI DEMOCRATICI

Primarie Pd, chiamata alle urne. Scoppia il caso dei seggi "nascosti" 

Sale la tensione tra i due fronti. Preoccupazioni sull'affluenza in costante calo negli ultimi anni. In Piemonte i supporter del governatore emiliano temono il sorpasso della Schlein e mobilitano le truppe. Polemiche sulle sedi del voto poco visibili ai non iscritti

Non c’è solo Giorgia Meloni e giudizi “troppo morbidi” nei suoi confronti di Enrico Letta e Stefano Bonaccini a dividere i sostenitori di quest’ultimo da quelli della sfidante Elly Schlein e far salire i toni della contesa per il Nazareno. A tormentare il sonno di entrambi gli sfidanti alla segreteria nazionale è il rischio di un flop. Quanti andranno a votare il 26 febbraio?

Nei sedici anni di vita del Pd il numero degli elettori accorsi ai gazebo si è via via assottigliato, fotografando un crescente distacco tra il partito e la sua base. Nel 2007, anno della sua costituzione, ben 3,5 milioni di persone incoronarono Walter Veltroni segretario, sei anni più tardi, nel 2013, Matteo Renzi venne indicato da 2,8 milioni di elettori e infine, nel 2019, infine solo 1,6 milioni si presero la briga di uscire di casa e versare i fatidici due euro per mettere lo scettro nelle mani di Nicola Zingaretti. E tra dieci giorni quanti saranno a recarsi nei gazebo? Il timore che si scenda sotto la soglia psicologica del milione è altissimo e i primi segnali di freddezza sono già arrivati nella conta degli iscritti. Centinaia, a ogni latitudine, quelli che non hanno rinnovato la tessera e tra coloro che l’hanno fatto è alta la percentuale di chi ha disertato le sezioni. I dati ufficiali non sono ancora a disposizione ma più o meno ovunque l’affluenza è stata al di sotto delle attese, con percentuali tra il quaranta e il settanta percento. A Novara, per esempio, su 177 aventi diritto solo 112 si sono recati al seggio allestito nel circolo, nello storico seggio di Bra intitolato al sindaco pescatore Angelo Vassallo appena 106 su 267 aventi diritto, meno della metà.

Certo, c’è sicuramente una procedura bizantina che ha disincentivato molti a partecipare a un processo del quale non capivano l’utilità: scegliere tra i quattro candidati i due che si sarebbero sfidati nelle primarie aperte, quando era già ampiamente previsto il ballottaggio tra Bonaccini e Schlein deve aver convinto molti a rimanere a casa. La paura, però, è che ci siano ragioni più profonde, a partire da una campagna congressuale che non ha scaldato i cuori, percepita più come un braccio di ferro tra due cordate di potere piuttosto che il confronto tra idee diverse del partito e della società.  

Già il 6 febbraio in una delle chat di Bonaccini, il senatore Alessandro Alfieri, coordinatore della mozione sui territori chiedeva ai sostenitori del governatore di iniziare a muoversi con le varie commissioni congressuali perché venissero allestiti “almeno gli stessi seggi utilizzati nelle primarie vinta da Zingaretti”. Per poi aggiungere: “Non ho bisogno di spiegarvi l’importanza di avere il maggior numero di seggi possibile per garantire il voto in presenza e la massima partecipazione”. È evidente, infatti, che qualunque sia il vincitore ha bisogno della legittimazione del maggior numero possibile di elettori per non partire subito avvolto dal gelo di quello che tra i dem si ama definire “il nostro popolo”. Intanto a livello territoriale le federazioni più grandi stanno mettendo a punto un piano di comunicazione. A Torino il segretario Marcello Mazzù sta lavorando a una serie di messaggi mirati sui social, mentre è in attesa del manifesti da Roma.  

Ma c’è pure chi, specie nel Sud del Piemonte, dove Schlein ha vinto, ha storto il naso e drizzato le antenne di fronte a scelte delle sedi dei seggi che i bonacciniani avrebbero individuato in luoghi non proprio facilmente individuabili. Tattica per rendere quasi una caccia al tesoro l’arrivo alle urne per chi non è avvezzo alle sedi del Pd? Certo pure questo rende l’idea del clima che sta aumentando di temperatura con l’avvicinarsi di un appuntamento al quale nessuno è in grado di prevedere in quanti si presenteranno.

Gli stessi dati emersi dal voto tra gli iscritti, raccontano di casi degni di nota come, ad esempio, i 118 votanti di cui 111 per il governatore emilianoromagnolo a Borgomanero (dove si segnala il fortissimo attivismo dell’ex parlamentare Franca Biondelli), che superano i 112 di Novara dove, invece, la Schlein ha doppiato 63 a 37 l’avversario. Al contrario nell’Alessandrino è chiara la marcatura evidente del peso degli ex scissionisti di Articolo Uno, i bersaniani che con il rieletto parlamentare Federico Fornaro, fanno sentire a sostegno dell’ex vice di Bonaccini in Emilia-Romagna. 

Quanto peseranno gli esponenti locali sulle primarie aperte e quanto invece potranno risultare determinanti i messaggi e i già citati toni che i due contendenti affidano ai media e ai social? “Quasi tutto il gruppo dirigente di questi anni sta con Elly”, rimarca Bonaccini. “Basta con i capibastone, basta con i pacchetti di tessere. Non ci possono essere dei sultanati. C'è una questione morale che si pone”, replica la sua avversaria, che ha affidato l’organizzazione della sua campagna alla deputata cuneese Chiara Gribaudo.  

Mentre la corsa alla segreteria del Pd si avvicina alle battute finali, domenica arriveranno i dati dei circoli di Lombardia e Lazio e, quindi, l'ufficialità del ballottaggio. Un testa a testa che molti davano scontato in partenza e anche questo può aver indotto una parte degli iscritti a disertare il voto nei circoli, rendendo ancor più difficile ogni pronostico su quello che uscirà fuori dai gazebo. Anzi dai seggi, perché su una cosa tutti sui due fronti, almeno, sono d’accordo qui al Nord: “Fa troppo freddo per votare all’aperto”. 

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