TERZO POLO

Fusione Azione-Iv, Renzi frena
(e aspetta il congresso Pd)

Calenda preme, ma l'ex premier raccomanda ai suoi "calma e gesso". Matteo pronto a incassare transfughi in caso di vittoria della Schlein (ha però anche un piano B, come Bonaccini). Fregolent: "Ci uniremo, ma non tra dieci giorni"

Un po’ convitato di pietra del congresso Pd, un po’ giocatore occulto pronto a trasformarsi in pussettista al tavolo in cui si punta sul futuro del Nazareno. L’abilità di Matteo Renzi, al di là delle opinioni che si dividono sul senatore di Scandicci, è fuori discussione. Piuttosto ce n’è un’altra di discussione che anima e divide il Terzo Polo e che rimanda proprio alla strategia dell’ex premier per nulla avulsa dai destini democrat, prossimi venturi. Quanta fretta, ma dove corri, dove vai, se ci ascolti un momento capirai. A Renzi basterebbe accennare Bennato per far capire a Carlo Calenda non solo che non è il caso di accelerare verso la fusione dei due partiti per farne uno, ma non di meno per spiegare al leader di Azione chi dei due è la volpe.

Ha lasciato all’ex ministro l’acido del rinsecchito grappolo di Letizia Moratti e adesso ai suoi manda a dire “calma e gesso”, il tempo per unirsi con i calendiani verrà, ma non sarà troppo in anticipo sulle elezioni europee, per intanto Italia Viva mostri di meritarsi l’aggettivo attendendo, fiero l’occhio svelto il passo, quel che potrà capitare domenica prossima nei gazebo del Pd. Vincesse Elly Schlein c’è qualcuno pronto a metter la mano sul fuoco che nessuno tra i più moderati e riformisti dem sarà percorso dal dubbio se restare o uscire dirigendosi verso l’approdo più naturale? Nel caso il risultato arridesse a Stefano Bonaccini, che mai si è scontrato frontalmente con Renzi, chi è disposto a giurare che gli occhi del governatore volgano naturalmente più verso l’ex segretario anziché verso Giuseppe Conte e la sinistra movimentista?

Calma e gesso, predica l’ex premier, mentre il suo sodale preme sull’acceleratore della fusione, manco fosse un tavolo di crisi da chiudere in fretta, come quando stava al Mise. È girata pure la voce, smentita, di un’esortazione di Renzi ai suoi affinché si rafforzi Italia Viva e ci si organizzi come forza politica senza unificazioni all’orizzonte. Questo per dire il clima che c’è nel Terzo Polo, dove sul fronte renziano si nota un Luigi Marattin che sprona i suoi territori d’elezione, e dunque il Piemonte, a procedere verso la fusione con Azione e su quello calendiano si annota una Mariastella Gelmini oltremodo cauta e quindi su posizioni più renziane che non su quelle del suo leader. Sarà davvero il prossimo 27 febbraio il giorno in cui si dirimerà la questione? Passerà la proposta di Azione o il leader di Italia Viva perseguirà la linea delle mani libere, almeno fino a quando non si capirà che succede nel suo ex partito? La questione resta aperta.

“L’idea della federazione nasce per evitare la sommatoria di due partiti e perché siamo convinti che da qui alle europee di saranno dei sommovimenti che possono arrivare da altre forze politiche e non è che due elezioni regionali ci possono far cambiare idea”, osserva Silvia Fregolent, la renzianissima parlamentare piemontese eletta in Emilia-Romagna. “Il nostro è un partito di opinione, non ancora radicato nel territorio. Possiamo attribuire tutte le cariche del mondo…”, osserva ancora Fregolent ed è difficile non leggere una lettura critica verso quell’organizzazione territoriale in cui si sono profusi i calendiani, in Piemonte come e forse più che altrove. “Insomma, il tema delle federazione che pone Renzi e sul quale aveva concordato con Calenda, pare quello giusto, senza corse in avanti che in questo momento potrebbero sortire l’effetto contrario. Se in un paio di settimane bruci tutte le cartucce, arrivi alle europee logorato. E’ una questione di strategia politica, di lungimiranza. Non fosse così, cosa ci avrebbe impedito di farlo il 22 di settembre il partito unico?”. Non se, ma quando. “Serve una sorta di costituente. Arriveremo al partito unico prima delle europee”,spiega Fregolent che, però, avverte i calendiani “ma non certo nel giro di dieci giorni”.

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