TRAVAGLI DEMOCRATICI

Schlein #OccupyPd, riformisti Ko.
Lo spettro Majorino sul Piemonte

Sarà un partito meno forza di governo e più movimentista. Ha vinto la sinistra Manu Chao e farà la stessa fine di Corbyn con i laburisti inglesi. Sconfessati i circoli e gran parte del gruppo dirigente. Alle regionali del prossimo anno la replica lombarda?

C’era bisogno di dare una scossa, è scattato il cortocircuito. Mai era accaduto nella storia, seppur fin dagli inizi travagliata, del Pd che il voto dei militanti raccolti nei circoli venisse ribaltato e stravolto dai non iscritti al partito. Sebbene in un testa a testa con, alla fine, uno scarto non così eclatante, a fare la differenza, decretando la vittoria di Elly Schlein su Stefano Bonaccini, portando per la prima volta alla guida una donna, sono stati i voti dei gazebo, le indicazioni di un mondo che guarda al Pd, in larga parte lo vota, anche se da tempo non sentendosi più rappresentato l’aveva abbandonato. Come Schlein che oggi si trova al vertice di un partito di cui fino a quelche settimana fa non aveva neppure la tessera. In una battuta: il Pd è riuscito a perdere pure le primarie.

Ma c’è un altro dato, tra i tanti, su cui dovrà fare i conti il partito guidato dall’ex leader di #OccupyPd (il movimento dei giovani dem nato per protestare contro i 101 franchi tiratori che impedirono l’elezione di Romano Prodi alla Presidenza della Repubblica) ed è quello della spaccatura tra Nord e Sud, che rimanda a quello ancor più eclatante: la sconfitta, eccetto proprio in alcune sacche del meridione, dell’apparato, della classe dirigente schierata con il governatore dell’Emilia-Romagna.

Una dicotomia, quella tra classe dirigente e voto delle primarie aperte, che sottende a quella ancora più eclatante della sconfessione del voto delle sezioni. “Un vero problema per il Pd”, osserva il politologo Paolo Natale, a spoglio ancora in corso, ma quando ormai si profila il risultato. “Il popolo della sinistra, smentisce la scelta degli iscritti, producendo una bella anatra zoppa. L’unica possibilità per evitare la soluzione estrema di una scissione da parte dell’area riformista, uscita sconfitta, credo possa essere un tentativo di convivenza delle due anime da parte della Schlein”.

È pur vero che, come annota Natale “è la prima volta che c’è una vera competizione interna tra candidati, a parte il duello tra Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani, ma in quel caso si trattava di primarie di coalizione”, tuttavia le scosse che il terremoto provocato dall’esito dei gazebo che potranno durare a lungo e con esiti ancora tutti da scoprire, già tracciano sul sismografo della politica un segnale: “Dal voto aperto anche ai non iscritti non è difficile poter veder proprio una delle ragioni della sua mancata crescita nelle urne, ovvero – aggiunge lo studioso – una base elettorale parecchio distante dalla sua classe dirigente”.

Tuttavia, al netto degli schieramenti a favore di Schlein di figure di lunghissimo corso dell’apparato – da Dario Franceschini a Nicola Zingaretti – non può sfuggire come sia lei sia il suo avversario abbiano guardato indietro, alla ricerca di una mitica araba fenice, con quella comune invocazione a “ritornare alla sinistra”. Si sono divisi sul come: adattare ai tempi l’antica ricetta socialdemocratica di stampo amministrativo (e di potere) del retaggio postcomunista o innestare sul vecchio ceppo della sinistra antifascista le battaglie radicali di nuove avanguardie, prevalentemente sui diritti, sulla falsariga di Jeremy Corbyn. Senza spiegare però, né l’uno né l’altra, cosa fare domani per un Paese oggi governato da una donna che, invece, un’idea di Paese lo ha proposto, lo si apprezzi o meno, agli elettori. La stessa parola “ritorno” indica un voltarsi indietro, un torcicollo che difficilmente non provoca fastidi.

Classe dirigente che esce malconcia, ancor più se si guarda all’ambito piemontese dove incominciando dal sindaco di Torino Stefano Lo Russo, passando per quasi tutti i parlamentari per arrivare all’aspirante candidato alla presidenza della Regione Daniele Valle (sarà ancora lui?), si è spesa per Bonaccini. Lo stesso neoeletto segretario regionale Domenico Rossi, sia pure espresso da un fronte unitario, si troverà a guidare un partito dai mutati pesi ed equilibri. 

Incassa il successo il bersaniano Federico Fornaro che, uscito dal partito con la scissione in epoca renziana, tornato nel Pd consegna a lontani ricordi l’appellativo di vietcong appioppato a lui e ai suoi dall’allora segretario oggi leader di Italia viva. E può cantar vittoria anche un’altra dei pochissimi parlamentari scesi in pista per l’ex eurodeputata, come la vicepresidente del Senato Anna Rossomando, insieme ovviamente alla deputata cuneese Chiara Gribaudo cui Schlein ha affidato l’organizzazione della sua campagna e per la quale è facile immaginare un ruolo di maggior peso al Nazareno. 

E sempre restando nei confini di una regione che andrà a voto nel 2024, lo spostamento del Pd più a sinistra, la cui nuova leadership ha fatto breccia raccogliendo il consenso di quell’area movimentista, pacifista (non poco ha pesato la questione della guerra e delle armi in Ucraina) della sinistra, assai più vicina ai Cinquestelle di Giuseppe Conte che non al Terzo Polo, potrà risultare un assist per il centrodestra. Con lo spettro di Pierfrancesco Majorino e la sua sconfitta di candidato, sorretto dall’alleanza con il M5s, alla presidenza della Lombardia, la corsa del nuovo Pd verso la riconquista del governo del Piemonte potrebbe farsi ancora più in salita. 

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