Se la giustizia sociale fa acqua

Le lotte a difesa dell’ambiente, a protezione della Terra su cui viviamo, sono atti di grande generosità nei confronti dell’intera comunità umana, ma soprattutto doverose perché a tutela di quell’immensa varietà biologica che non ha avuto alcuna responsabilità nell’inquinare il pianeta sino quasi ad ucciderlo.

La battaglia ecologista però, da sola, non è sufficiente a fronteggiare il dramma sociale in corso nei Paesi industrializzati, come in quelli saccheggiati dal colonialismo moderno. Ogni singola conseguenza scaturita dal feroce maltrattamento che riserviamo al nostro globo ha ricadute immediate sull’intera popolazione planetaria: effetti inizialmente innocui per le famiglie benestanti si contrappongono a immediate brutali conseguenze per le classi sociali più deboli.

Il Progetto Climagri ha recentemente reso noto uno studio sulla mutazione del clima in Piemonte. Il dato più evidente preoccupa, o meglio dovrebbe preoccupare, l’intera cittadinanza: il 19% del territorio regionale (pari a 4.852 chilometri quadrati) è a grave rischio di desertificazione. Un fenomeno non fulmineo, seppur giorno dopo giorno più percettibile, che purtroppo ha iniziato a manifestarsi qualche anno fa.

La siccità è tra i primi sintomi accusati nelle zone geografiche condannate, dall’uomo, a passare da vallate rigogliose e verdi a luoghi brulli, aridi, in cui la vita è impossibile. Il consumo domestico di acqua incide solo per il 12% sul suo uso complessivo, mentre tutto il rimanente finisce nell’irrigazione, nell’industria e negli impianti di innevamento artificiale di alta montagna (dove le fonti idriche non sono ancora neppure diventate torrenti). Gli acquedotti civili, quindi, impegnano quote minime delle riserve d’acqua (malgrado gli sprechi causati da vecchie condotte oramai sull’orlo del collasso), eppure le famiglie diventano la prima categoria su cui cade il razionamento quando la preziosa risorsa naturale scarseggia.

Non occorre un master in economia per comprendere che i cittadini residenti in un territorio dove non piove, o non nevica da un lungo periodo, diventano immediatamente il target preferito dalla speculazione. Nel nostro Paese, durante gli ultimi tre anni, sono mancati, per poi ricomparire a prezzi elevati, molti prodotti: le siringhe e le mascherine (epoca Covid); i libri e la carta (verso fine emergenza); l’acqua gasata e ora i medicinali più richiesti. Coloro che si definiscono imprenditori facendo la loro fortuna sulle paure, e disgrazie altrui, attendono ora che i rubinetti di casa rimangano all’asciutto per sviluppare nuovi business.

Emerge a questo punto l’elemento sociale, o meglio la differenza tra coloro che possono comprare e usare l’acqua in piena stagione di secca, mettendola addirittura a profitto, e chi, invece, deve attendere l’autobotte dell’Esercito per bere, lavarsi e cucinare. Tra i primi le aziende che imbottigliano alla fonte la risorsa naturale stessa: società che in cambio di esigui canoni di concessione pagati alla Regione incassano voluminosi introiti vendendo bottiglie in Italia, come in tutto il mondo; realtà con utili di bilancio così importanti da poter realizzare costosissime pubblicità trasmesse sui canali nazionali.

Sfruttatori e proletari, classe estinta quest’ultima a vantaggio del sottoproletariato, continueranno a essere tali pure quando il sogno “Green” sarà realizzato. Per tale motivo proteggere l’ambiente, in maniera efficace, vuol dire tutelare il welfare e garantire al contempo equità, e quindi giustizia sociale. Se questo non avviene tutto si riduce a un’opportunistica operazione di marketing.

Un esempio arriva proprio da Torino. La città si professa sensibile al grido di dolore lanciato dalle ultime generazioni, dai giovani che scendono in piazza il venerdì, ma al contempo taglia alberi al Parco del Meisino nel nome della sua riqualificazione ad uso sportivo (fondi del Pnrr) e progetta di ricollocare l’ospedale Maria Vittoria su un’importante area verde, qual è l’area giostre della Pellerina: territorio dal ricchissimo patrimonio arboreo e che ospita molte specie di mammiferi, uccelli e anfibi. Gli affari, la produzione e l’economia guardano agli utili pure quando parlano “green”, anzi la speculazione oggi è più che mai “verde”.

A conferma ulteriore, il 28 febbraio si è chiuso il bando con cui la Regione Piemonte intende assegnare migliaia di euro per la costruzione sull’area ThyssenKrupp di uno stabilimento per la produzione di idrogeno liquido, ossia il cosiddetto carburante “ecologico”. Non solo tale sostanza è altamente infiammabile, per cui l’attività industriale non dovrebbe avvenire in area urbana (e tantomeno nelle vicinanze del futuro ospedale della Pellerina), ma la sua lavorazione è pure incompatibile con la carenza di precipitazioni metereologiche: per fabbricare 1 kg di idrogeno tramite elettrolisi occorrono circa 9 litri di acqua, e per ottenerne una tonnellata se ne devono consumare quindi ben 9.000 litri.

Il Governo prevede di produrre entro il 2030 almeno 700.000 tonnellate di idrogeno all’anno, per cui in futuro saranno necessari circa 6,3 milioni di metri cubi di acqua ad uso industriale e con buona pace per i rubinetti di casa lasciati all’asciutto (tranne per coloro che potranno pagare forniture personali). Di fatto l’acqua verrà presto privatizzata, e lo si farà usando l’alibi della siccità, nonché nel nome della produzione strategica nazionale.

È doveroso combattere per la salvaguardia del pianeta Terra, ma occorre farlo senza mai scordare l’importanza che in ogni lotta ricoprono i diritti assoluti, la dignità dei cittadini, l’eguaglianza e i beni comuni: se non si proteggono tutti i cittadini, partendo dai più fragili, il rischio di essere marionette nelle mani delle lobby è reale.

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