Ora possiamo davvero fare Centro

In tempi in cui l’evoluzione della politica è più rapida della sua elaborazione progettuale e di prospettiva, è giocoforza che anche i processi politici che si intravedono all’orizzonte si accelerino sempre di più. È il caso, nello specifico, della costruzione del progetto politico, culturale e programmatico del “nuovo centro”. Un processo che ha ricevuto una accelerazione da una serie di concause che contribuiscono in modo decisivo a definire questo nuovo progetto politico.

Andando con ordine non possiamo non ricordarne alcuni, almeno i principali, e tutti frutto e conseguenza di precise scelte degli elettori e non decise a tavolino da un gruppo di illuminati. Dalla netta e secca vittoria della destra democratica e di governo alle elezioni del 25 settembre scorso alla affermazione della Schlein alla guida di un Pd sempre più espressione di una sinistra radicale, libertaria, estremista e massimalista; dalla sconfitta elettorale e senza appello del cosiddetto “terzo polo” nelle regioni in cui si è andato al voto recentemente sino alla débâcle del Friuli Venezia Giulia al rinnovato protagonismo dell’area cattolico popolare attraverso la proposta di una “ricomposizione politica ed organizzativa” a livello nazionale di un mondo sino ad oggi frammentato ed atomizzato; da una sempre più insopportabile radicalizzazione della lotta politica che può sfociare nella deriva drammatica degli “opposti estremismi” alla necessità di dare una rappresentanza politica, culturale ed organizzata a settori crescenti della nostra società che non si riconoscono più nell’attuale offerta politica e che, di conseguenza, si rifugiano nell’astensionismo. Per non parlare – ed è, forse, questo, l’elemento più rilevante – che la cultura centrista e, nello specifico, di matrice cattolico popolare e cattolico sociale sono ormai del tutto irrilevanti se non addirittura assenti tanto nello schieramento di centro destra quanto, e soprattutto, in quello della sinistra radicale, estremista e populista.

Ora, la sommatoria reale ed oggettiva di questi tasselli porta ad una conclusione che sta emergendo anche nel dibattito politico, culturale e giornalistico del nostro Paese. Al di là e al di fuori delle legittime opzioni politiche di ciascuno di noi. E cioè, si rende sempre più necessario – come, del resto, è già decollato a livello nazionale – aprire il “cantiere” di un centro dinamico, innovativo, moderno, riformista e autenticamente democratico come è stato nelle migliori stagioni politiche del nostro paese. Un “cantiere” che veda la compresenza attiva e non puramente ornamentale e periferica di tutte quelle culture politiche che sono state decisive e determinanti nel corso degli anni per costruire un progetto di buon governo e, al contempo, che hanno contribuito al rafforzamento e al consolidamento della nostra democrazia. Un “cantiere” politico e di governo che quasi si impone per cercare di battere quella radicalizzazione della lotta politica che era, è e sarà sempre il nemico principale e più insidioso per la qualità della nostra democrazia e per la stessa tenuta delle nostre istituzioni democratiche. Ma un “cantiere” che si rende necessario anche per ricostruire quella “cultura di governo” che resta un tassello fondamentale per non consegnare l’intero paese o all’avventura da un lato o all’improvvisazione populista, qualunquista ed irresponsabile dall’altro.

Per questi semplici motivi, e per i fatti oggettivi accaduti in questi ultimi mesi e settimane, ci si appresta ad aprire una nuova stagione per la vita pubblica italiana. Una stagione che, però, deve finalmente vedere protagonista la politica con la P maiuscola lasciando definitivamente ai margini le sirene populiste e le tentazioni puramente qualunquiste che continuano, purtroppo, a serpeggiare nel tessuto più profondo della nostra società.

Insomma, un “cantiere” di centro indispensabile e necessario per l’intera politica italiana e che, quasi sicuramente, sarà l’unica vera novità delle prossime consultazioni elettorali: comunali, regionali ed europee.

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