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In Piemonte non c'è partita: l'analisi che gela la sinistra

La coincidenza con il voto europeo, la competizione interna al campo largo, la presenza di una figura moderata e popolare come Cirio. Per il politologo Natale le prossime regionali saranno un'impresa improba per Pd e M5s. "L'alternativa ha bisogno di tempo"

“Per quanto largo potrà essere il campo del centrosinistra, quello delle elezioni regionali in Piemonte non potrà che risultare dalle urne un terreno di sconfitta. La coincidenza con le elezioni europee, alle quali sia il Partito Democratico, sia il M5s affidano il loro futuro e il peso dell’uno rispetto all’altro, non sarà certo di giovamento”.

È un’analisi tanto spietata quanto realistica quella che, interpellato dallo Spiffero, il politologo Paolo Natale fa dell’appuntamento elettorale cui manca giusto un anno e del suo esito, più che probabile, allo stato attuale e anche tenendo conto dei cambiamenti che segnano il calendario della politica. “La vedo una partita persa – dice il docente di Analisi dei sondaggi all’università di Milano – a maggior ragione, ma non solo per questo, dopo la cocente sconfitta subita dal Pd in quest’ultima tornata amministrativa”.

Un centrosinistra, pur allargato a riproporre lo schema giallorosso, cui “toccherà mettersi l’animo in pace” e due forze politiche, il Pd e i Cinquestelle che anche nel caso di un’alleanza per cercare di battere il centrodestra, “dovranno fare i conti con il voto europeo, dove ciascuno corre da solo. Oggi sia Elly Schlein sia Giuseppe Conte sono impegnati e lo saranno ancora a lungo, certamente non solo fino al voto per l’Europa, ma per almeno i prossimi due anni, a rinforzare il proprio partito autonomamente”.

È pur vero che la corsa, ognun per sé, alle europee vale anche per il centrodestra, “che non solo ha più volte se non sempre dimostrato di sapere tenere ben salda la coalizione, ma che parte anche per la Regione Piemonte da un evidente vantaggio, sia per essere l’alleanza uscente, sia per l’effetto del governo e ancor più di Giorgia Meloni. In più – sottolinea il politologo – se Alberto Cirio, figura moderata, sarà ricandidato questo sarà un ulteriore vantaggio per il centrodestra”.

Per provare a sovvertire una situazione assai più solida rispetto a cinque anni fa, Pd e M5s, pur comprendendo anche liste minori e civiche, dovrebbero almeno “dare l’idea che ci sia effettivamente una coalizione, cosa che però non si è neppure vista in queste ultime consultazioni comunali. Se non sono riusciti a farlo nemmeno in questo caso…”.

Come ha scritto in una recente analisi su glistatigenerali.com, a proposito del rapporto tra Pd e M5s, Natale rimarca “la mancanza di un forza politica di opposizione”, perché se “i partiti del centrodestra, benché sottolineino a volte istanze non del tutto omogenee, riescono ad avere una elevata compattezza al momento di presentarsi alle urne, laddove le forze facenti capo genericamente all’area progressista paiono sempre più litigiose e incapaci di trovare accordi su molte delle questioni”. E a proposito della nuova guida del Nazareno, “è certo è che segnali di cambiamento si sono soltanto parzialmente intravisti, e le parole d’ordine che possano mobilitare l’elettorato sempre più astensionista di sinistra stentano a sentirsi. E un polo alternativo a quello di governo ancora non sembra nascere. Certo, c’è tempo, da qui a importanti appuntamenti elettorali. Ma anche l’assimilazione di nuove proposte ha bisogno di tempo per risultare alla fine vincente, per far cambiare idea agli elettori”.

Sul fronte opposto, il politologo rimarca spesso, nelle sua analisi, il fattore C, che in questo caso sta per Cirio: “è una figura in grado di raccogliere consensi anche in quell’area rappresentata da Matteo Renzi e Carlo Calenda e, proprio per questo rispondendo alla domanda su una possibile candidatura marcatamente di Fratelli d’Italia dico: chi glielo farebbe fare al partito della Meloni di rischiare non di perdere, ma magari di vincere con meno distacco. Questo quando ha la possibilità di governare la Regione, con il peso dei suoi eletti e una percentuale dal 25% in su, senza rinunciare a un candidato forte, più che collaudato in questi cinque anni e moderato”.

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