FINANZA & POTERI

Signorini e altarini (politici) in Iren.
Il Pd ligure spara su Bucci e Toti

Un ad "dimezzato", lo spezzatino di deleghe, una governance Frankenstein. Chi ci ha perso? "Genova", attaccano i dem. Chi ci guadagna? Sulla carta Torino ma potrebbe rivelarsi una vittoria di Pirro. Ecco perché. Le manovre romane di Gianni Letta

«Per scegliere il nuovo amministratore delegato di Iren avevano scomodato, inutilmente, persino una società “cacciatrice di teste” (la Spencer Stuart), quando era sufficiente ascoltare qualsiasi cittadino per capire come fosse chiaro che la persona individuata da tempo per sostituire il dimissionario Gianni Vittorio Armani, nel frattempo passato ad Enel, fosse Paolo Emilio Signorini». Il Pd ligure svela quello che era ben noto a tutti da tempo e che lo Spiffero, per primo, aveva anticipato già a febbraio scorso, ovvero quando voci insistenti davano prossima l’uscita dalla multiutility del manager romano dopo soli due anni di incarico. E che il sindaco di Genova Marco Bucci avesse in testa l’ex boiardo di stato passato alla corte del governatore della Liguria Giovanni Toti come segretario generale della Regione, poi approdato alla guida dell’Autorità portuale, era un segreto di Pulcinella, anzi di Capitan Spaventa per rimanere sotto la Lanterna. L’operazione, avversata dal viceministro leghista (e genovese) Edoardo Rixi, ha avuto come registi proprio Bucci – che si ritroverà commissario per la nuova Diga (finanziata per oltre 1 miliardo di euro dai fondi del Pnrr, sul modello Ponte Morandi) – e Toti, pare su input di Gianni Letta, che starebbe macchinando per far rientrare l’ex consulente politico di Berlusconi in Forza Italia.

Ma se sul piano societario e industriale si accavallano interrogativi e dubbi sul profilo manageriale del nuovo ad di Iren, sul piano politico i dem liguri rimarcano come la scelta «non sarà senza conseguenze». A partire dai mutati equilibri, almeno apparenti, tra i tre partner del patto di sindacato che costituiscono la governance del gruppo. «La prima perché i sindaci di Torino e Reggio Emilia, per accettare la nomina proposta da Bucci, hanno preteso per i propri due rappresentanti, rispettivamente il presidente e il vice presidente di Iren, da loro nominati, deleghe che dalla costituzione della società a oggi non hanno mai avuto» (per il primo competenze nell’area finanza e delle relazioni con gli investitori e per il secondo la gestione del personale). «Torino e Reggio Emilia in questo modo si sono rafforzati a discapito del ruolo di Genova – affermano in una nota Davide Natale, segretario ligure e Simone D'Angelo segretario cittadino del Pd –. Per Signorini è stato stabilito un ruolo gestionale. Per Bucci tutto questo non ha nessuna importanza».

Il rafforzamento di Torino, in verità, è più sulla carta che nella sostanza e non soltanto perché il milanese-romano Luca Dal Fabbro sia solo formalmente espressione del capoluogo piemontese (a Stefano Lo Russo venne a suo tempo “suggerito” dal Nazareno, area Letta). Dopo la sciagurata vendita di quote operata da Chiara Appendino (su cui pende un’inchiesta della procura della Corte dei Conti) la componente “torinese” è risalita attraverso Compagnia di San Paolo e Metro Holding Torino (la finanziaria dell’ex Provincia) e, in prospettiva della riscrittura dei patti parasociali, pare intenzionata a mettere sulla bilancia il nuovo peso. Sul versante emiliano consegnare la responsabilità del personale a Moris Ferretti è come dare la custodia di un’emoteca a Dracula, raccontano i maligni.

La questione cruciale è però quella del “governo” di Iren su cui mosse azzardate e caos gestionali potrebbero seriamente mettere a repentaglio il suo futuro. Detto in altri termini, la concorrenza tra soci non è un buon viatico per affrontare le impegnative sfide cui ha di fronte la multiutility e lo “spezzatino” di deleghe può soddisfare temporaneamente gli appetiti politici (e territoriali) ma promettono nulla di buono per gli assetti manageriali del gruppo. E 18 mesi, tanto durerà il mandato del vertice, sono più che sufficienti per mandare gambe all’aria qualsiasi azienda.

Il Pd ligure evidenzia anche una seconda conseguenza della mossa di Bucci: il commissariamento del porto «in un momento di grandi trasformazioni e di grandi progetti da realizzare grazie alle risorse del Pnrr, del Fondo Complementare, dei Fondi ministeriali, ipotetici trasferimenti, il nuovo rigassificatore a Vado Ligure e la Zls (zona logistica semplificata) ancora al palo. È inspiegabile come non si sia percorsa la strada di nominare un manager che mantenesse a Genova un ruolo fondamentale nella gestione della società – proseguono i due segretari –, visto tra l'altro anche i molteplici interessi industriali presenti nelle altre province liguri, e allo stesso tempo non si toccassero gli equilibri di gestione del porto anzi se ne rilanciasse l’azione. Ora si apre lo scenario del commissariamento dell’Autorità di Sistema del Mar Ligure Occidentale. È fuori dubbio che non potrà essere un commissariamento lungo, perché abbiamo bisogno che venga mantenuto il ruolo anche delle comunità locali, Genova e Savona, per affrontare le sfide che il mondo portuale sta vivendo».

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