RETROSCENA

Corsa a tre per la Commissione Ue, Crosetto mette fuori gioco Cirio

Il Gigante di Marene non disdegnerebbe la poltrona a Palazzo Berlaymont ma deve fare i conti con altri due colleghi ministri: Fitto e Lollobrigida. Meloni deciderà all'ultimo a seconda del quadro politico post voto. Ma per il governatore del Piemonte speranze al lumicino

Li terrà sulla corda fino a dopo le elezioni europee alle quali pare abbia intenzione di chieder loro di candidarsi. Non solo per galvanizzarli, ma anche perché la scelta imporrà una condivisione con gli alleati e un ragionamento su passaggi di deleghe all’interno del Governo. Giorgia Meloni stringerà ancora per un bel po’ in mano le tre carte, cui potrebbero aggiungersene altre, calando solo al momento giusta quella per il commissario europeo che spetta all’Italia. Tre carte che, oggi, hanno le facce di Guido CrosettoRaffaele Fitto e Francesco Lollobrigida. Tre ministri Fratelli (d’Italia) e uno pure cognato, tutti fedelissimi della premier e ciascuno con un profilo in grado di prendere il testimone di Paolo Gentiloni a Palais Berlaymont.

Come si conviene, con quell’abbondanza di ipocrisia di cui non difettano i riti della politica, nessuno del terzetto si è candidato formalmente per quel posto che l’evoluzione imposta dalle sconfitte della destra estrema in Spagna e in attesa di quel che accadrà in altri Paesi (Polonia in primis) rende assai meno definita la prospettiva dell’asse con i Popolari. La premier, proprio di fronte a questo scenario, pare abbia del tutto abbandonato l’ipotesi di “cedere” agli alleati la poltrona. Al momento, nella testa dell’inquilina di Palazzo Chigi prevale il tratto di capo politico di una forza che non intende affidare ad altri il proprio accreditamento europeo. Che ci riesca, come dimostrano le posizioni contraddittorie delle ultime settimane, è un altro paio di maniche.

Tutti e tre, comunque, a Bruxelles ci puntano. Il cofondatore di FdI Crosetto è a suo agio a Palazzo Barachini, ma il balzo dalla Difesa a un ruolo in Europa che non sia quello di semplice parlamentare, non sarebbe certamente vissuto come un doloroso addio alle armi. E proprio trattando di armi nella sua non breve parentesi al vertice dell’Aiad, l’associazione delle industrie della difesa, il politico piemontese ha accresciuto le sue relazioni internazionali, sulle quali pare aver pesato poco o nulla la scarsa conoscenza dell’inglese cui starebbe ponendo rimedio. Frequenti i suoi interventi in politica estera e questioni europee. Segnali di un’attenzione a Bruxelles, non solo in quanto ministro, ma guardando a uno dei compiti cui sarà chiamata la prossima Commissione: il rafforzamento del progetto di difesa comune europea. Pane e companatico per i denti del gigante di Marene.

Da Nord a Sud, ed è lì nel suo feudo pugliese che Fitto s’appresta, nei piani della Meloni, a raccogliere una messe di voti. Titolare del sempre più complicato dossier Pnrr, dell’ex governatore delle Puglie non va scordato il ruolo determinante nel rafforzamento del profilo europeo della futura premier e il ruolo giocato per l’ascesa al vertice dei conservatori. Dei tre è quello col profilo più europeo, ma sarà da vedere se la premier lo riterrà più utile a Bruxelles o a Roma, vista proprio la gestione dei fondi europei.

E poi c’è il cognato Lollobrigida, titolare di uno dei dicasteri, quello dell’Agricoltura, con maggiori legami e interessi (ma anche conflitti) con l’Unione Europea. I maligni spiegano un suo possibile invio a Bruxelles come un modo per allontanarlo un po’ da un palcoscenico nazionale dove non sempre le sue performance in guisa di più o meno estemporanee dichiarazioni hanno riscosso applausi. Ipotesi piuttosto debole, tenuto conto anche proprio della stretta parentela che potrebbe essere presa a pretesto da avversari più ancora di quanto non accada ora. 

Esponenti di rilievo di FdI rafforzano la tesi di una decisione, condivisa con Forza Italia e Lega, della premier solo dopo l’esito del voto. Così come, ad oggi, pare sfumata la possibilità di un commissario esterno alla famiglia meloniana. Un dato questo che, salvo assai improbabili ripensamenti (che comunque arriverebbero sempre dopo le urne), fa svanire anche il più sfumato sogno di gloria europea per Alberto Cirio. La poltrona su cui il governatore non ha mai fatto mistero di ambire, andrà ad altri. Anche questo nel disegno della premier, decisa a piazzare uno dei suoi fedelissimi nella Commissione potendo contare su un candidato forte pur (non ancora?) del suo partito per garantire al centrodestra a pesante trazione fraterna altri cinque anni di governo del Piemonte.

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