VERSO IL 2024

Alleanza Pd-M5s alle Regionali, Appendino frena in Piemonte

Dopo sei sconfitte consecutive il campo largo si coltiva solo dove ci sono reali possibilità di vittoria "sennò ricominciano a dirci che l'intesa è perdente". E contro Cirio l'impresa è disperata. Ragionamenti politici e vecchie ruggini coi dem dell'ex sindaca

Un’alleanza troppo importante per sacrificarla sull’altare di una regione persa in partenza. O almeno considerata tale. “Credo così tanto a una intesa tra noi e il Pd che non voglio mortificarla in una battaglia senza speranza”. Non è una frase dal sen fuggita, bensì la tesi che Chiara Appendino dispensa nei suoi colloqui a sostegno di una corsa solitaria del Movimento 5 stelle alle prossime elezioni regionali in Piemonte. “Certo che sono a favore di una coalizione” è la premessa, proprio per questo meglio non bruciarsi contro Alberto Cirio, dato ampiamente in vantaggio contro il centrosinistra.

Così, mentre nei Comuni di mezza Italia e nelle altre Regioni si assiste ad abboccamenti, più o meno formali, tavoli programmatici, confronti sui candidati, in Piemonte l’ordine impartito è di restare fermi. Decidono Giuseppe Conte e, soprattutto, l’ex sindaca di Torino che ancora non ha dimenticato di essere stata trascinata in tribunale proprio dal Pd nel cosiddetto processo Ream, da dov’è uscita definitivamente solo lo scorso giugno con l’assoluzione in Cassazione, dopo essere stata condannata in primo grado per falso ideologico.

Prima dell’estate un colloquio con il segretario dei dem piemontesi Mimmo Rossi sembrava potesse aprire uno spiraglio, poi il gelo calato a partire dal rifiuto a partecipare alla Festa dell’Unità di Torino. “Problemi di agenda” fu la spiegazione ufficiale del forfait di Appendino. Vecchie ruggini personali s’intrecciano con una tattica politica al limite del cinismo: “Ci alleiamo dove abbiamo la possibilità di vincere” è il riassunto di quella politica dei due forni, in versione 2.0, incarnata da Conte, il quale non a caso in vista delle europee ha inaugurato una strategia comunicativa più spinta e volta a esasperare le differenze con il Pd. Prima che un alleato, Elly Schlein è un concorrente a sinistra, sui temi sociali, ambientali e pure di politica estera: un messaggio a tutti i teorici del campo largo che vedevano nella nuova segreteria il viatico per un’alleanza stabile tra i due principali azionisti del secondo governo Conte.

Pd e Cinquestelle alleati vengono da sei sconfitte consecutive alle regionali – l’ultima in Molise – e tanto basta per convincere i vertici del movimento ad andarci coi piedi di piombo. Se non altro per evitare di dare la stura a quella ridda di voci pronte a levarsi in caso di nuove Caporetto: “Meglio andare da soli, insieme si perde”. Servono segnali in controtendenza ed ecco che l’alleanza pare già cosa fatta in Sardegna dove il governatore uscente Christian Solinas (sostenuto ancora solo da Matteo Salvini) è dato perdente da buona parte dei sondaggi. Lo stesso dicasi per l’Abruzzo, la Basilicata, forse anche l’Umbria. È il Piemonte l’anello debole, almeno fino a prova contraria. Il ragionamento, se si vuole anche un po’ opportunistico, è che laddove ci si va a contaminare deve valerne la pena, ci deve essere una possibilità di successo con relativa distribuzione di premi e prebende.

Di qui a nove mesi tante cose ancora possono cambiare, che il centrosinistra si dedichi alle proprie liturgie, tra segreterie, direzioni, eventuali primarie. È un treno che si può prendere anche in corsa e i pentastellati lo sanno bene per esserci saliti spesso all’ultimo momento (e chissà che non sia anche questo uno dei motivi per cui spesso è andata male).

E a proposito di liturgie, proprio ieri si è riunita la segreteria regionale del Pd in cui Rossi ha proposto la sua road map per l’individuazione del candidato (fermo restando che con la rinuncia del rettore del Politecnico Guido Saracco resta in campo la sola candidatura di Daniele Valle). Il percorso prevede una direzione a inizio ottobre e candidature per eventuali primarie entro la fine del mese così da non andare oltre dicembre per una eventuale consultazione interna. La sinistra interna al Pd chiede di allungare il brodo, ma si tratta di posizioni isolate, che peraltro non hanno argomenti a supporto. Perché aspettare?

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