TRAVAGLI DEMOCRATICI

Schlein vuole l'Anci alla bolognese.
Bonacciniani impiattano Lo Russo

Pd diviso anche sulla futura presidenza della potente associazione dei Comuni. La segretaria pronta a mettere in campo Lepore. Dal fronte riformista il sostegno al sindaco di Torino. Si replica lo scenario del (perenne) congresso piddino

Un duello, l’ennesimo, tutto interno al PdÈ quel che si prefigura, pur con un certo anticipo, per la successione ad Antonio Decaro, anch’egli dem, alla presidenza dell’Anci. In una sorta di riedizione del congresso perenne con cui è costretto a convivere, il partito di Elly Schlein s’appresta a divedersi, anzi di fatto lo è già, pure sulla guida di una delle ultime roccaforti che conserva in virtù del numero dei sindaci in quota al Nazareno.

Nonostante, o forse proprio perché consapevoli delle difficoltà a trovare la quadra, manchino ancor un bel po’ di mesi al giorno in cui il sindaco di Bari concludendo il suo secondo mandato dovrà lasciare anche la guida della potente associazione dei Comuni italiani, i dem già preparano mosse e contromosse, schieramenti e possibili veti in una trama tanto nota quanto adattabile a tutte le occasioni.

Che la presidenza dell’Anci faccia gola e rappresenti l’interlocutore principe degli enti locali con il governo è cosa nota, che il partito cui i numeri ne attribuiscono anche in questo mutato quadro politico la leadership si spacchi, diciamo che non stupisce. Seguendo un consumato canovaccio i due fronti interni, quello della segretaria e quello che fa riferimento allo sconfitto nelle primarie dei gazebo Stefano Bonaccini, puntano ça va sans dire su due candidati diversi.

La maggioranza, ma ancor più proprio lei la segretaria, vuole piazzare al posto di Decaro il suo omologo bolognese Matteo Lepore, uno dei pochi se non l’unico tra i sindaci delle grandi città ad averla appoggiata convintamente contro il governatore dell’Emilia-Romagna. Ma c’è poco, nelle dinamiche interne al Pd, tra la via Emilia e il (Far) West. Lì lungo la strada interrotta dal ribaltone congressuale i bonacciniani sono pronti a piazzare il loro uomo, pronto sulla riva del Po. Non è un mistero, come abbiamo già scritto, che Stefano Lo Russo sulla poltrona di Decaro ci faccia più di un pensiero. Ed è lui che l’ancora ampio fronte riformista bonacciniano metterà in campo se non ci saranno improbabili mutamenti di scenari e possibili ripercussioni della questione elettorale, non ultima quella della scelta del candidato presidente per le regionali piemontesi. Ovvio che all’inquilina del Nazareno non sfugga il peso dell’Anci e non intenda lasciarsi sfuggire la conquista di un caposaldo cruciale sul fronte degli enti locali e del loro rapporto con governo, tanto più se questo è nelle mani del centrodestra. Un’operazione che, tuttavia, la costringerà a fare i conti con quella minoranza del partito che non è affatto detto non sia ancora maggioranza tra i sindaci, soprattutto quelli di maggior peso.

Un “leale confronto”, come un tempo si definivano gli scontri al calor bianco, appena incominciato, ma che già prevedrebbe una possibile strategia d’uscita nel caso in cui non si arrivasse a trovare una quadra. La carta da giocare sarebbe quella del sindaco di Napoli Gaetano Manfredi. Scegliere lui significherebbe tradire un’attesa alternanza tra Nord e Sud, anche se vi sono fior i precedenti come i passaggi di testimone tra Sergio Chiamparino e Graziano Delrio e da questi a Piero Fassino. Più ancora non a favore dell’ex rettore dell’Università Federico II giocherebbe il suo essere ben visto dai Cinquestelle che, ormai, non hanno neppure in mano una città medio grande e non farebbero andare in brodo di giuggiole quella parte del Pd che ancora sospetta l’aiuto alla Schlein nei gazebo. Altre ipotesi, come quella scartata in partenza del primo cittadino di Roma Roberto Gualtieri, troppo segnale di centralismo, al netto delle grane che già deve risolvere nella Capitale l’ex ministro, non se ne vedono.

E mentre nel Pd ci si prepara a un Bo-To, cercando di non raddoppiare la seconda consonante, al feudo delle autonomie storicamente lontano dalla destra, questa guarda con attenzione e senza qualche nascosta brama. Se la Lega, che sui Comuni ha costruito la sua fortuna, in Anci già ci ha messo da tempo piede, prendendo con il sindaco di Novara Alessandro Canelli la presidenza di Ifel (l’Istituto per la finanza locale), Fratelli d’Italia punterebbe alla presidenza del consiglio nazionale dell’Anci, ruolo attualmente rivestito dall’ex sindaco di Catania Enzo Bianco. Posizione non di primo piano, ma utile al partito di Giorgia Meloni per piazzare una bandierina nella futura mappa del potere dei comuni che la premier intende ridisegnare a partire dalle prossime amministrative. E per dare un segnale, raccontano, siano stati i suoi uomini a far uscire le informazioni sugli stipendi d’oro dei dirigenti Anci. Un avvertimento, insomma.

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