ACCADEMIA

Rettore in minoranza, cda annullato

Per evitare la bocciatura sul nuovo Statuto, il numero uno dell'Università di Torino sospende l'iter di approvazione "per un ulteriore passaggio in Senato accademico". Ma la tensione nell'ateneo resta altissima mentre proseguono le scorribande dei centri sociali

Sullo sfondo degli scontri avvenuti nei giorni scorsi tra i facinorosi del centro sociale Askatasuna e gli studenti di destra del Fuan, cui è stato impedito di volantinare all’interno dell’Università, proseguono le trattative per la riscrittura dello Statuto dell’Ateneo di Torino, mai così diviso. A sentire certe cronache sembra il Sessantotto o i successivi anni di piombo o forse c'è solo tanto spirito di emulazione in una minoranza particolarmente rumorosa e un pizzico di nostalgia di qualche docente attempato.

E mentre i collettivi si compattano di fronte al “pericolo fascista”, l’ultimo colpo di scena è la comunicazione con cui ieri il rettore Stefano Geuna ha revocato il consiglio di amministrazione previsto per il 14 dicembre per approvare (o più probabilmente bocciare) il nuovo Statuto. “Alla luce delle osservazioni avanzate da alcuni Dipartimenti ritengo opportuno un ulteriore passaggio in Senato accademico per delineare la modalità migliore per completare l’iter di approvazione del nuovo Statuto di Ateneo” è l’incipit della missiva con cui Geuna sospende il cda. Il Magnifico di via Verdi ha ritenuto dunque opportuno schiacciare il piede sul freno, evitando il rischio di schiantarsi. Una pausa di riflessione per rivedere gli aspetti più controversi, “tenendo in considerazione i diversi contributi emersi e avendo come priorità comune l’approvazione di un testo nel quale possa riconoscersi la più ampia parte della nostra comunità”. Tutto da rifare? Chissà.

Di certo c’è la necessità di rivedere, nel metodo e nel merito, una serie di punti della nuova Carta. In questi mesi è stata contestata a Geuna, da destra e da sinistra, la mancata condivisione di un percorso e il piglio decisionista con cui ha nei fatti escluso dalla discussione frange significative della comunità accademica. Le dimissioni della Commissione Statuto sono stati i primi campanelli d’allarme, poi i distinguo in Senato accademico, infine i pareri contrari di un numero considerevole di dipartimenti, tra cui Giurisprudenza ed Economia. Il rettore fino a ieri ha tirato dritto, ma i numeri (molto risicati) in cda lo hanno portato a più miti consigli.  

Nel merito l’anima più conservatrice non ha apprezzato la svolta woke, con i continui riferimenti all’etica della scienza, contenuti nel Titolo 1, quella più progressista s’aspettava una maggior attenzione verso i diritti dei cosiddetti afferenti temporanei e precari in genere: assegnisti di ricerca e borsisti su tutti. Avevano chiesto una rappresentanza in Senato e in cda che però non è stata loro concessa. Il massimo che ha ottenuto questo esercito di 3mila precari è stato il diritto di voto alle elezioni per il rettore, tra l’altro “pesato” in modo decisamente inferiore a quello di altre figure nel nuovo sistema ponderato.

Osservatori accreditati stimavano in tre, massimo quattro (su undici) i voti certi che avrebbe avuto il rettore in cda. Il suo, quello di Franco Veglio e Antonella Valerio e pochissimo d’altro. La maggioranza dei componenti era pronta a dividersi tra astensione e voto contrario. Di qui la decisione di tornare sui suoi passi e riprendere le trattative.