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Decreto Crescita e tetto pubblicità, ora Cairo dà un calcio alla Meloni

Finita la luna di miele tra il patron di Rcs, La7 e Toro con l'esecutivo. Stoccata alla premier: "Sembra che il governo voglia affossare il calcio che finora non ha avuto nessun aiuto". Serve una riforma complessiva: nel mirino il tesoro delle scommesse

Che la musica fosse cambiata ce n’eravamo accorti. È bastato sfogliare le pagine del Corriere della sera che, dopo averne tessuto le lodi per mesi, ha iniziato a cambiare i toni nei confronti di Giorgia Meloni e del suo governo, senza lesinarne critiche. Oggi la conferma ufficiale, quando parlando di pallone – ma con un occhio al suo patrimonio televisivo – Urbano Cairo, numero uno di Rcs, editore del Corsera, ha sparato contro la premier precisando che “Il calcio non ha avuto un centesimo di aiuto dallo Stato” nonostante “problemi enormi” come dimostrano “le perdite aumentate in maniera esponenziale”. Parole pronunciate dal presidente del Toro al termine dell’incontro tra Figc e Lega serie A sulla riforma del calcio. “Oggi ce la siamo cantata e suonata – ha proseguito – però poi devi uscire da qui con un piano preciso per ristrutturare il calcio, e deve esserci un aiuto da tutte le componenti”.

Secondo Cairo “sembra quasi che ci sia una volontà del governo di affossare il calcio. Lo Stato non dà il minimo aiuto, togliendo il Decreto Crescita si penalizza il calcio senza avvantaggiare nessuno. Poi c’è il tema del betting che vale 16 miliardi e dal quale noi non prendiamo un centesimo. Infine gli stadi: ci sono squadre che li vogliono fare ma non ci riescono”.

Al centro del suo ragionamento c’è la riforma del calcio, ma in ballo c’è anche l’aumento del tetto per la raccolta pubblicitaria della Rai, una potenziale grana per La7 di cui è padrone Cairo e quindi altro elemento di tensione con l’esecutivo. “I calciatori non hanno avuto nessun tipo di penalizzazione, anzi i loro ingaggi sono aumentati. Lo Stato deve dare anche al calcio un aiuto, visto che il calcio impiega centinaia di migliaia di persone e ha delle contribuzioni all’erario di 1,3 miliardi all’anno più tutto quello che arriva dalle scommesse”, ha aggiunto. “Dobbiamo fare un progetto complessivo di riforma del sistema calcistico. Probabilmente in Italia si è visto che ci sono troppe società professionistiche. Siamo a cento. Quando in tutti gli altri paesi siamo a livelli molto minori, cioè la Spagna ne ha la metà, anche la Francia. L’unica che ha numeri paragonabili a noi è l’Inghilterra ma ha dei valori di diritti che sono tre volte noi. La serie A è quella che mantiene tutto il calcio”. Poi la conclusione: “I costi aumentano e vanno tutti a vantaggio dei calciatori e degli allenatori e i ricavi diminuiscono ma in questo modo si perdono un sacco di soldi e l’attività non è più sostenibile”.

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