VERSO IL VOTO

Meloni: "limare le unghie a Salvini".
La Lega scava il bunker nei comuni

A Roma come sui territori gli alleati si guardano in cagnesco. Fratelli d'Italia punta a tenere in vita i berluscones per contrastare la virata a destra del Capitano (e per i futuri assetti europei). In Piemonte il Carroccio arruola gli amministratori locali

Salvate il soldato Tajani, con le sue truppe. L’ordine non scritto, né formale, ma chiaro, Giorgia Meloni pare averlo impartito col debito anticipo ai suoi, consapevole del rischio che l’avanzata fraterna alle europee, così come alle regionali, possa lasciare sul terreno un partito di cui lei e l’alleanza che guida non può fare a meno.

Una formazione politica come quella rimasta orfana del suo fondatore serve alla destra per poter continuare ad anteporre nel nome quel centro che non solo vale voti, ma che evita un eccessivo spostamento (visto anche il posizionamento di Matteo Salvini) della coalizione di governo verso un punto che potrebbe costare l’attuale consenso di un ampio settore elettorale moderato. Serve, Forza Italia, non di meno sul futuro scacchiere europeo e sulle stesse future alleanze in quanto partito appartenente alla famiglia dei Popolari. 

Insomma, non mancano le ragioni per evitare inutili umiliazioni azzurre che nulla gioverebbero alla premier e che, anzi finirebbero in qualche modo per indebolirla sia nel Paese sia in Europa. Accorta e strategica, quindi, la scelta di non favorire alcun eccessivo travaso di voti a favore di Fratelli d’Italia, scelta confermata dalla decisione che da tempo Meloni aveva assunto nel non favorire, forse addirittura stoppandole, alcuna migrazione da Forza Italia verso il suo partito, anche se a livelli non di spicco. 

Una strategia che passerebbe anche dal sempre meno improbabile via libera della premier alla riconferma di Vito Bardi quale candidato governatore della Basilicata. A protezione dell’ex generale delle Fiamme Gialle Antonio Tajani ha alzato le barricate, che risulterebbero assai deboli nel caso in cui la leader di FdI non alzasse il pollice, rigirandolo di conseguenza all’ingiù nei confronti delle istanze salviniane. Dopo il passo indietro in Sardegna, con l’abbandono di Christian Solinas a favore del meloniano Paolo Truzzu, il leader della Lega ha immediatamente posto l’ipoteca per la presidenza lucana, con il coordinatore regionale e già parlamentare Pasquale Pepe

Da lì la levata di scudi di Tajani, che nell’accorto dare le carte da parte delle premier finisce per tornare utile a lei: con la stessa mossa, se sarà quella del disco verde a Bardi, sosterrebbe Forza Italia e, al contempo, limerebbe ulteriormente le unghie al Capitano, anche in questo caso senza però esagerare. Le attenzioni verso la Lega non sono, nella strategia meloniana, ovviamente le stesse che pare voler riservare al partito guidato dall’altro suo vice. Di questo Salvini ne è ben consapevole e la preoccupazione che serpeggia ai vertici, così come nelle terze file territoriali della Lega ne è sempre più conferma con il passare del tempo e l’avvicinarsi del voto. 

Il Capitano non può che galvanizzare a più non posso le sue truppe, tuttavia non limitandosi a questo. Il contenimento dell’assalto fraterno è l’imperativo, non dichiarato, che accompagnerà tutta la campagna elettorale e che già ora vede predisporre possibili piani di azione specie laddove Salvini e i suoi proconsoli sanno di poter arginare l’avanzata meloniana anche recuperano parte di quell’elettorato migrato verso il partito egemone. Per il Carroccio questa operazione è, almeno sulla carta, meno difficile laddove al voto europeo si somma quello regionale e, in non pochi casi, soprattutto comunale. Il Piemonte è dunque il terreno ideale, con la Regione alle urne con un centrodestra strafavorito e non pochi comuni dove, specie in quelli di piccole e medie dimensioni, la Lega può tornare a rappresentare con i rispolverati valori territoriali e autonomistici un’offerta appetibile, anche per qualcuno che negli ultimi anni aveva preferito Giorgia a Matteo.

In Piemonte, poi, Salvini e il suo plenipotenziario Riccardo Molinari non possono permettersi di vedere vicino al ribaltamento del quadro che portò alla vittoria il centrodestra e Alberto Cirio alla presidenza della Regione nel 2019. Allora la Lega superò il 37% con FdI fermo sotto il 6. Cifre ormai lontanissime, in entrambi ii casi, dallo scenario attuale. Ma quello futuro per Salvini non può certamente essere accettabile con percentuali troppo basse, addirittura a una cifra. E lui non può neppure contare sulla non disinteressata benevolenza che Meloni pare voler riservare a Forza Italia.

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