VENGO DOPO IL TG

Rai, Schlein rimane sola. Conte ha altri programmi

Fine delle trasmissioni sul campo largo. La segretaria dem annuncia il sit-in davanti a viale Mazzini, ma il capo grillino (dopo aver trattato e incassato da FdI) la lascia col cerino in mano: "Lanciare allarmi democratici a giorni alterni non è la soluzione"

“I partiti stiano fuori dalla Rai”. Fa ridere ma è da almeno mezzo secolo lo slogan in voga tra le forze politiche, soprattutto quando stanno all’opposizione. Unica novità è che ora gli avversari del governo di Giorgia Meloni non sono d’accordo neppure su come contrastare le “mani” della destra sul servizio radiotelevisivo pubblico. “No, caro Pd, il 7 febbraio noi non ci saremo. Se davvero si vuole lavorare con noi per costruire una seria alternativa di governo, di cui l'Italia ha dannatamente bisogno, dobbiamo mettere da parte l'ipocrisia su quelle che sono battaglie sicuramente giuste, come quelle su Rai e libertà di informazione”. Giuseppe Conte gela Elly Schlein che sabato scorso, nel corso di un evento a Cassino, aveva suonato la carica annunciando un sit-in per “denunciare quello che sta accadendo in Italia sull’informazione e per difendere la libertà di informazione”.

Ma davanti ai cancelli di via Mazzini il Movimento 5 Stelle non ci sarà (peraltro come buona parte dei dirigenti di Mamma Rai, in trasferta a Sanremo per il Festival). “Abbiamo partecipato ai sit-in per la tutela del giornalismo d’inchiesta, a fianco di Report – ricorda il leader pentastellato –. Saremo sempre a fianco di chi nel nostro Paese difende la libertà di stampa. Ma non ci sembra risolutivo né credibile un sit-in lanciato da un Pd indignato, che chiama a raccolta le altre forze politiche e finge di non sapere quello che tutti sanno da anni, e cioè che la governance Rai è assoggettata al controllo del Governo oltreché della maggioranza di turno grazie alla riforma imposta dal Pd renziano nel 2015. Ai partiti non serve un sit-in, basta impegnarsi seriamente nelle commissioni parlamentari per una riforma”. Quella che, ricorda Conte è incardinata in Commissione di Vigilanza presieduta dalla grillina Barbara Floridia.

Quello che non ricorda, però, il fu Avvocato del popolo è che proprio in questo scorcio di legislatura il M5s se non si è accomodato al tavolo della lottizzazione, di certo ne ha beneficiato: un trattamento di favore, propiziato dal voto del consigliere d’amministrazione in quota M5s, Alessandro di Majo, che ha consentito al nuovo amministratore delegato Roberto Sergio di varare il suo piano aziendale. Una spartingaia in cui tutti – chi più e chi meno, ovviamente – hanno ottenuto qualcosa: 5 direzioni a FdI, 5 alla Lega, 2 a FI (12 in totale al centrodestra), per seguire con 8 al Pd e 4 al M5s (a partire da Giuseppe Carboni, ex direttore del Tg1 alla direzione di Rai Parlamento). E come si può notare guardando i Tg Conte ha un trattamento di favore nel proverbiale pastone politico di giornata.

Ma il camaleConte, dimostrandosi più abile e spregiudicato della segretaria Pd, gioca allo spariglio, con una notevole faccia di tolla. “Mettere da parte l’ipocrisia significa partecipare costruttivamente a questo progetto per pervenire a una riforma quanto più condivisa, che tenga la Rai al sicuro dall’influenza dei governi e delle maggioranze di turno. Combattiamo questa battaglia senza infingimenti. Lanciare allarmi democratici a giorni alterni e prendere di mira il singolo servizio giornalistico non può essere la soluzione. Perché serve solo ad alimentare la reazione di chi oggi può facilmente opporre che – per quanto siano poco commendevoli servizi adulatori dei politici oggi al potere – non sarà facile eguagliare il record dei servizi accortamente confezionati negli anni per soffiare il vento del consenso a favore del Pd”. Ammazza, una vera mano tesa per la costruzione del campo largo. “Siamo seri! – scrive ancora Conte –. L'amichettismo di destra vale quanto l’amichettismo di sinistra. I cittadini non sono sciocchi. L’allarme democratico lanciato dal Pd per la nomina da parte di FdI del nuovo direttore del Teatro di Roma è appena rientrato: la figura è stata sdoppiata e Pd e FdI avranno, ciascuno, il proprio direttore di riferimento. Questo non vuol dire che io non sia preoccupato: il duo Meloni-Fazzolari non sta dimostrando verso il mondo dell’informazione un’adeguata cultura democratica. Agiscono maldestramente, in maniera ruvida e arrogante, per esercitare influenza politica su quante più testate giornalistiche possibili e, quando non ci riescono, utilizzano armi non convenzionali persino contro noti siti di informazione”.

Strapazzata per bene, alla Schlein non resta che dimostrare “la voglia di cambiare. Questo vale per la Rai e per gli altri temi che si trascinano da anni e non vanno avanti perché ci mancano i numeri: legge sul conflitto di interessi, regolamentazione delle lobby, riforma della legge elettorale in senso proporzionale con reintroduzione delle preferenze, e così via. Proviamo a cambiare le cose, per davvero. Solo così si batte Giorgia Meloni”.

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