SACRO & PROFANO

Repole incontra i politici: dialogo "oltre gli steccati"

L'arcivescovo di Torino mette in agenda una riunione con amministratori ed eletti. Il ruolo dei "cattolici adulti" e gli attempati sessantottini presenti in diocesi. Il caso della consigliera Pd del Veneto e i cattolici relegati a "utili idioti" della sinistra

Sabato 17 febbraio l’arcivescovo di Torino Roberto Repole incontrerà “le persone impegnate in politica” per un dialogo che vada «oltre gli steccati». Solitamente i “cattolici adulti”, quelli per cui, come ebbe a dire Francesco Cossiga, «il Magistero della Chiesa è un optional», votano Pd e così pure quei vescovi e quei preti, solitamente piuttosto attempati ed ex sessantottini, che da sempre hanno nella sinistra il loro punto di riferimento. Non sbagliava infatti Goffredo Fofi quando affermava che «la Chiesa, o meglio una sua parte, è l’unica a non aver tradito il Sessantotto». Oggi poi quella parte è saldamente al potere nella Chiesa. Con l’elezione del nuovo Consiglio Pastorale – che rispecchia nei nomi e nell’orientamento una sorta di dejà vu – si completa il processo egemonico del gruppo dirigente diocesano.

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È successo in Veneto che una consigliera regionale, l’avvocato Anna Maria Bigon, esercitando la sua libertà di coscienza, abbia, astenendosi in aula, fatto naufragare il progetto di legge sul fine vita presentato dal presidente Luca Zaia, con due argomenti ineccepibili: così come sentenziato dalla Consulta è necessaria  una norma nazionale poiché non è ammissibile che su temi come l’aborto o l’eutanasia possano legiferare le regioni; secondo, la stessa Corte ha invitato il parlamento a porre rimedio con una legge stabilendo che non esiste il dovere di vivere ad ogni costo ma che bisogna altresì garantire adeguate cure palliative, altrimenti non c’è vera scelta per il malato terminale: o soffre o muore. Il Pd veneto voleva che la legge regionale Zaia passasse per mettere in difficoltà la Lega e pertanto decideva di uscire dall’aula per far diminuire il quorum ed evitare la sconfitta. A questo espediente pilatesco la consigliera Bigon si si ribellava e invece di andarsene come avevano fatto i suoi compagni restava in aula astenendosi con gran parte della maggioranza di centrodestra – FI e FdI – per cui il progetto di legge non è passato. Su di lei si sono riversati immediatamente i fulmini del Pd, venendo subito dimessa dalla sua carica di vicesegretaria regionale, mentre la libertaria Elly Schlein l’ha richiamata alla disciplina di partito definendo il suo voto una «ferita». Così è sceso in campo Romano Prodi ricordando a Elly che sui temi della bioetica non esiste disciplina di partito e l’ex ministro Graziano Delrio ha paventato il timore che il Pd diventi una sorta di partito radicale allargato, cosa che il filosofo Augusto Del Noce (1910-1989) aveva previsto esattamente più di cinquant’anni fa.

L’episodio rivela – se ancora ce ne fosse bisogno – come gli spazi di agibilità politica per i cattolici nel Pd si facciano sempre più stretti e i loro esponenti sempre meno influenti, ridotti alla figura di quei decorativi «utili idioti» di leniniana memoria che erano gli “indipendenti di sinistra” del Pci. Appare così evidente, come è stato notato, che di case adatte ai cattolici in politica ne sono riamaste sempre meno e stanno tutte dall’altra parte dove Forza Italia è l’unico partito italiano che abbia aderito ai Popolari europei. Anche qui però pare che le cose non vadano molto meglio, mentre il Centro – luogo naturale per i cattolici – è occupato dal trio Calenda, Renzi e Bonino collegati all’agenda laicista di Macron. I vescovi dal canto loro hanno abdicato da tempo al loro compito di illuminare le coscienze in conformità ai valori cristiani come fece, in ordine ai principi della dottrina cattolica su laicità e pluralismo, quella “Nota Dottrinale circa le questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica” emessa nel 2002 dalla Congregazione per la dottrina della Fede, guidata allora dal cardinale Joseph Ratzinger, dove si richiamava il principio per cui non esiste autentica libertà senza la verità: «Verità e libertà o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono» (Fides et ratio n.90). In tempi di Fiducia Supplicans parlare di verità suonerebbe incongruo.

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Proprio su Fiducia Supplicans, il documento vaticano che permette la benedizione delle coppie gay, il dibattito non si placa. Esso ha provocato un gran numero di contestazioni da parte di cardinali, vescovi, teologi e canonisti i quali, alle reiterate precisazioni – anche del papa – per cui un conto è benedire le relazioni e un conto sono le persone, rispondono che, se così fosse, non vi era alcuna necessità di dedicare un nuovo documento al tema, in quanto già adesso la Chiesa offre la possibilità di benedire, sperando che si redimano, anche i più incorreggibili peccatori. Ancora qualche giorno fa papa Francesco ha voluto ribadire che «quando si avvicina una coppia a chiedere (le benedizioni), non si benedice l’unione, ma semplicemente le persone che insieme ne hanno fatto richiesta». Al pontefice ha risposto indirettamente, e con ferrea logica, un altro pontefice – quello dei liturgisti – il laico Andrea Grillo che in suo post ha commentato: «La benedizione delle persone, non della unione, era la posizione del Rescriptum del 2021. Fiducia Supplicans introduce esplicitamente una diversità per permettere che sia la unione ad essere benedetta, sia pure a certe condizioni. Altrimenti le cose si scrivono e si approvano, ma è come se non si fossero scritte e non si fossero approvate».

Sulla stessa lunghezza d’onda si è posto don Duilio Albarello, teologo monregalese: «Sarebbe buona prassi, da parte della autorità ecclesiastica, evitare di pubblicare un documento il giorno prima per smentirlo o comunque ridimensionarlo il giorno dopo al minimo stormir di fronde. È la sterile strategia cattolica del gambero travestito da gattopardo: lasciare intendere di voler cambiare (quasi) tutto per cambiare in realtà (quasi) nulla». Per completezza di informazione, va detto che le «fronde» alle quali don Duilio si riferisce sono intere conferenze episcopali. Nel dibattito si è inserito anche Enzo Bianchi che in un sussulto di papolatria (e di autobiografismo) affermando l’inverosimile – e cioè che  papa Francesco «fin dall’inizio del suo pontificato ha mostrato di dare alla carità e alla misericordia il primato assoluto nella vita ecclesiale» – ha sostenuto poi che con Fiducia Supplicans egli «ha concesso, o meglio ha esplicitato, la possibilità di dare la benedizione a quanti vivono una situazione contradditoria alla dottrina cattolica: divorziati, persone conviventi, omofili, etc». Se nella Sacra Scrittura tali situazioni sono condannate esse vanno rilette e interpretate «alla luce dei tempi in cui viviamo». Per cui se nel continente africano o nell’Europa dell’Est – ma anche in Olanda! – i cattolici non sono ancora in grado di interpretare le Scritture adeguandosi alla modernità sarebbe a rischio l’unità della Chiesa.

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Sull’ultimo numero di Famiglia Cristiana – ribattezzata da molti preti in Famiglia prodiana o Famiglia pagana – ad introdurre un ampio servizio sul tema degli omosessuali credenti è ritratto, in copertina davanti al papa, un ossequioso don Gian Luca Carrega, torinese, classe 1972, ordinato nel 2000, direttore dell’Ufficio per la pastorale della cultura, docente alla Facoltà teologica e incaricato “della pastorale Lgbt”. Naturalmente, negli articoli del settimanale le benedizioni alle coppie gay vengono difese e giustificate senza troppo curarsi delle precisazioni del papa ma attaccando quei vescovi che ad essa si sono opposti. Una vera perla è dovuta al pensiero teologico – si fa per dire – di monsignor Antonio Staglianò, presidente della Pontificia Accademia di Teologia, per cui il peccato – anzi meglio la fragilità – delle coppie non regolari non è poi così grave e per sostenere la mirabolante tesi si riferisce addirittura alla Madonna: «La misericordia di Dio è prima del peccato originale, che non è universale perché Maria ne è stata preservata». Anche le condanne della Bibbia sono superate in quanto testi omofobi nati nel 3000 avanti Cristo. Della serie: «Ai tempi di Gesù non c’era il registratore» (dichiarazione del preposito generale della Compagnia di Gesù padre Arturo Sosa S.J del 18 febbraio 2017).

Credits: foto di apertura La Voce e il Tempo di gallery di Renzo Bussio

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