VERSO IL VOTO

Il gioco del cerino tra Pd e M5s (il Nazareno fa lo scaricabarile)

L'accordo con i Cinquestelle in Piemonte è sempre più lontano e gli strateghi di Schlein provano ad addossare le responsabilità sul livello locale. Ma non erano stati loro ad avocare le trattative? Intanto il tempo passa e Cirio fa campagna elettorale

Di fronte a un ultimatum solitamente ci sono solo due risposte possibili: sottostare o respingerlo. Il Pd ha scelto una terza via e alla richiesta di abiura arrivata dal Movimento 5 stelle ha opposto un Non possumus unito a tante scuse, invitando a soprassedere. I pentastellati pongono come pregiudiziale la sconfessione della scelta sul nuovo ospedale di Torino? Il Pd replica che non si può fare ma in fondo, chi se ne frega se non la pensiamo uguale su tutto.

È un dibattito surreale quello tra due potenziali alleati che tanto si detestano quanto si cercano. Non si siedono al tavolo per decidere “cosa faremo”, ma per rinfacciarsi “cosa avete fatto”. Una trattativa che in autunno viene trasferita da Torino a Roma, per decisione dei due strateghi di Elly Schlein, Igor Taruffi e Davide Baruffi, e poi si incaglia sull’ubicazione di un ospedale. Il tutto dopo che il Nazareno ha regalato la Sardegna a Giuseppe Conte, spaccando il Pd nell’isola e senza ottenere niente in cambio. Strateghi che ora strologano su come evitare che la responsabilità del disastro ricada sulle loro teste, fingendo di tenere in vita ciò che ormai è sepolto da tempo. È il classico gioco del cerino.

E così capita che venerdì sera sugli smartphone dei componenti la segreteria regionale del Pd arrivi un messaggio che convoca per il giorno successivo una riunione urgente indetta dal vertice del partito piemontese su richiesta del nazionale per decidere cosa rispondere all’ennesima provocazione dei pentastellati. Il Nazareno vuole condividere le responsabilità col livello locale dopo averlo nei fatti commissariato, mettendo nell’angolo chi, come Nadia Conticelli, ha sostenuto Schlein con convinzione e vorrebbe sinceramente l’accordo con i Cinquestelle, ma non può rinnegare se stessa. Lei, infatti, è presidente del partito piemontese, ma anche capogruppo in Sala Rossa e come potrebbe sconfessare il lavoro fatto in Consiglio comunale per compattare tutta la maggioranza sulla scelta di costruire il nuovo ospedale in un’area ai margini del Parco Pellerina? E così l’è toccato barcamenarsi, tra imbarazzo e irritazione, come hanno fatto pure altri sostenitori della segretaria, da Daniele Viotti a Caterina Romeo: il leitmotiv è sempre il solito, “cerchiamo ogni strada possibile per trovare l’accordo”. Nessuno, in fondo, ha il coraggio di staccare la spina.

Un accordo che, va detto, finora non ha consentito mai al centrosinistra di vincere una regione. Lo sanno bene in Lombardia e in Liguria, ma anche in Calabria e in Umbria dove il campo largo si è ristretto nelle urne ed è rimasto a venti punti (talvolta anche più) di distanza dal centrodestra. Accordi posticci, sottoscritti all’ultimo momento tra due classi dirigenti che mal si sopportano e non si riconoscono, il doppiogioco dei grillini e lo snobismo dei dem. Ingredienti difficili da digerire per un elettorato sempre più mobile. Sarà un caso ma le uniche regioni in cui il Pd è al governo (Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Puglia) le ha vinte senza l’aiuto dei Cinquestelle, ma con un programma chiaro, una coalizione costruita per tempo, un candidato riconoscibile. Tutto ciò a cui questo Pd ha rinunciato, aspettando Godot. Che arrivi o no, ormai è indifferente. Siamo a febbraio e il centrosinistra non ha ancora il suo alfiere, mentre Alberto Cirio è in campagna elettorale praticamente da quando è stato eletto. Qualcuno lo spieghi anche a Baruffi e Taruffi. 

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