SANITÀ

"Più visite dei medici di famiglia, meno Pronto Soccorso ingolfati"

Il ministro Schillaci denuncia: inappropriato il 40% degli accessi all'emergenza. La replica di De Iaco (Simeu): "Non si misura la necessità con i codici del triage". Il nodo irrisolto della medicina territoriale: "Troppi medici ormai visitano solo su appuntamento".

“Il ministro dice che il quaranta per cento degli accessi ai Pronto Soccorsi è inappropriato? Beh, almeno ha fatto un passo avanti rispetto a un po’ di mesi fa quando sosteneva che era l’ottanta per cento”. Fabio De Iaco, direttore del Dea dell’ospedale Maria Vittoria di Torino, è il presidente della Società Nazionale di Medicina di Emergenza e Urgenza ed egli stesso, recentemente, è stato audito nella commissione parlamentare impegnata nell’analisi di un fenomeno che è si emergenziale per la sua gravità, ma rischia orami di diventare cronico visto che ormai sono anni che i Pronto Soccorso sono ingolfati con sempre meno medici ad occuparsi di sempre più malati.

Non pare troppo convinto delle cifre fornite ieri da Orazio Schillaci. C’è dell’altro che non le torna nella rappresentazione data dal ministro?
“Diciamo che quel dato, già ridimensionato dal ministro credo vada ulteriormente ridotto attorno al massimo attorno al 25 massimo per cento. Perché non si può considerare la percentuale dei pazienti che arrivano in Pronto Soccorso e poi vengono dimessi, come indice della reale necessità di rivolgersi proprio al Pronto Soccorso. Né si può valutare l’inappropriatezza basandosi sui codici di triage, perché il codice bianco, verde e gli altri colori non definisce la gravità che può essere valutata solo successivamente. Se si tiene conto di questo non siamo al 40, ma molto al di sotto. Detto questo il problema resta ed è molto grave”.

Ma allora è sbagliato affrontare la questione partendo dall’inappropriatezza degli accesi, insomma da tutti quei casi in cui non sarebbe necessario arrivare al Pronto Soccorso?
“Mi consenta un gioco di parole, è inappropriato parlare di accessi inappropriati. E sa perché? Perché oggi non esiste un’alternativa al Pronto Soccorso”. 

Pesante questa sua affermazione. Lei sa bene che tira in ballo la medicina del territorio, i medici di famiglia? Ma anche quelle strutture, come le case di comunità, citate dal ministro e previste dal Pnrr. 
“Lo so, ma continuo a pensare che il vero nodo della questione non si sciolga con la realizzazione di strutture intermedie tra l’abitazione del paziente e il Pronto Soccorso, ma lo si faccia invece riportando i medici di famiglia alla loro funzione primitiva, ovvero stare vicino ai pazienti”.

Cosa che accade sempre di meno.
“Purtroppo è così. Si sta prendendo atto che la medicina generale non è in grado si assolvere al proprio compito e, anziché rimediare al problema, si costruiscono nuove strutture senza sapere quali medici le potranno far funzionare. Stiamo galoppando verso l’intelligenza artificiale, possibile non si riesca a ricorrere maggiormente all’informatizzazione per sgravare i medici di medicina generale di una quantità spaventosa di burocrazia che impegna buona parte del loro tempo?”.

Nell’attesa l’unica strada per chi ha un problema di salute, anche non grave, e non trova la risposta dalla medicina del territorio è quella che porta al Pronto Soccorso. Non trova sia sbagliato, oltre che poco gentile, accusare i pazienti per questo loro atteggiamento?
“Assolutamente. Cosa può fare chi ha un problema di cui non può conoscere l’eventuale gravità, che sta male, che magari spesso ha paura? Bisogna cambiare sistema. Bisogna riportare i medici di famiglia a visitare i pazienti, ad essere disponibili non soltanto su appuntamento. Non pretendiamo che il medico scatti ad ogni chiamata, ma da qui a dover ricevere esclusivamente su appuntamento ed essere molto spesso saturati da procedure burocratiche a scapito dell’aspetto clinico ce ne passa”. 

Da quello che dice pare di vedere due mondi separati, lontani: quello della medicina ospedaliera con la prima linea dei Pronto Soccorso e quello della medicina sul territorio.
“Vorremmo tanto essere coinvolti in un confronto. Come Simeu continuo a parlare di medicina generale in assenza della medicina generale, anche ai numerosi convegni cui partecipo. Due mondi di vanno avvicinati, uniti senza perdere ulteriore tempo, altrimenti il problema non lo si risolve”.

Un altro problema evidenziato dal ministro è lo scarso numero di iscritti alla specializzazione in Emergenza e Urgenza, nelle Università del Piemonte come in tutte le altre del Paese. Insomma, mancheranno specialisti da inserire nei Pronto Soccorso anche per molti anni a venire.
“Il ministro su questo ha ragione. Tanto più che c’è pure chi in posizioni accademiche elevate va sostenendo che non serve la specializzazione in Emergenza e Urgenza. Atteggiamenti inaccettabili, non tanto per me, per noi medici specialisti, quanto per i cittadini e la loro salute. La scarsa attrattività di questa branca della medicina si risolve migliorando le condizioni di lavoro da tutti i punti di vista, economico ma non solo”.

Un obiettivo certo non a breve scadenza. Pur guardando a dopodomani, oggi cosa si potrebbe fare per migliorare il lavoro dei medici in prima linea e il servizio ai pazienti che, sempre più spesso, sono costretti a restare ore o giorni in barella?
“Intanto premiare i futuri medici che lavoreranno in questo settore fin dalla scuola di specializzazione, pagandoli di più rispetto a chi sarà un futuro specialista che da libero professionista poi guadagnerà molto, ma molto di più. E poi, noi continuiamo a chiedere una riforma che consente agli specializzandi da un certo momento del percorso formativo di lavorare in ospedale come dirigenti medici in formazione. Questo vorrebbe dire avere subito più professionisti nei Pronto Soccorso che potrebbero lavorare, firmando pure le dimissioni di un paziente, cosa che oggi non è possibile”.

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