Cattolici e politica secondo Repole 

Sabato scorso l’arcivescovo di Torino, Mons. Repole, ha convocato gli amministratori locali e i politici della Diocesi per una riflessione sui cattolici impegnati in politica. Una mattinata importante non solo per i vari contributi emersi dal dibattito ma anche, e soprattutto, per le stimolanti riflessioni introdotte dallo stesso Repole. Perché, al di là di ogni altra valutazione, è indubbio che il nodo principale da affrontare, e da sciogliere, resta purtroppo, e ancora, sempre lo stesso. Ovvero, come ridare un rinnovato protagonismo ai cattolici impegnati in politica nella società contemporanea? Il tutto, sia chiaro, senza alcuna deriva integralistica, neo confessionale o meramente testimoniale. Anche perché, come è emerso dal confronto pubblico, il superamento e l’archiviazione del cosiddetto “partito identitario” certifica la presenza di un consolidato pluralismo dei cattolici per le varie opzioni politiche. Ed è proprio su questo versante che le riflessioni di Repole sono state precise. E cioè, l’azione dei cristiani in politica “torni ad essere la più alta forma di carità al di là degli schieramenti, cercando invece ciò che unisce senza sentirsi però subalterni per via della fede e forti di una grande tradizione”. Per poi aggiungere che “chi si impegna in politica, al di là dell’interesse per il consenso, ponga sempre al centro il bene della persona in tutte le dimensioni sociali: lavoro, istruzione, sanità”.

Insomma, la via maestra resta quella di ricercare la convergenza in ambito politico dei cattolici su tutti quei problemi che toccano direttamente le principali esigenze e le difficoltà delle persone e che, purtroppo, creano disagi, povertà, diseguaglianze, crisi demografica, emarginazione e crisi esistenziali.

Ora, è di tutta evidenza che, al di là delle buone intenzioni e della volontà di essere nuovamente protagonisti nella cittadella politica italiana, il capitolo della presenza concreta dei cattolici nei più svariati partiti resta un tema aperto. E se c’è una responsabilità precisa, oggi, del laicato cattolico più sensibile all’impegno pubblico è proprio quello di non diventare irrilevanti e del tutto marginali all’interno dei vari partiti. Perché una presenza meramente ornamentale – l’ormai famosa “quota panda” – o burocratico/protocollare oltre a segnarne l’inconsistenza politica e culturale contribuisce, indirettamente, a certificare che l’apporto dei cattolici in politica non deve disturbare il manovratore, come si suol dure. Cioè chi è alla guida dei singoli partiti.

Certo, non si può decidere a tavolino di svolgere un ruolo politico significativo. Per poterlo fare dignitosamente e responsabilmente sono necessari ed indispensabili alcuni ingredienti. E cioè, una adeguata preparazione culturale; una reale rappresentanza sociale; uno stile che rifugga dal populismo e dalla sola propaganda e, in ultimo, il coraggio e la capacità di riaffermare la propria identità nella concreta e quotidiana dialettica politica. Seppur attraverso una rigorosa ed equilibrata laicità dell’azione politica. E l’incontro con l’arcivescovo di Torino ha offerto, al riguardo, un contributo importante e di rara qualità.

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