GRANA PADANA

Salvini balla sul Titanic della Lega, il vento del Nord si fa impetuoso

Cresce l'allarme per le prossime tornate elettorali: "Rischiamo la sopravvivenza". Per il nuovo corso ipotesi Calderoli traghettatore e poi Molinari o Fedriga. Ma il modello Liga Veneta piace sempre di più e il Doge potrebbe sfrattare il Capitano di (s)ventura

Il Doge si tiene, ben calcato in testa, il corno. Luca Zaia avverte chi già è certo di non consentirgli, tra due anni, di proseguire a governare il Veneto che “la partita sul terzo mandato non è chiusa e si giocherà in Parlamento”. Per nulla disposto a togliersi il copricapo simbolo del potere di fronte alle mire nordiste di Giorgia Meloni come accadde, nel 1797, all’ultimo dei dogi Lodovico Manin dinanzi ai quattromila soldati schierati da Napoleone, quel gesto potrebbe tuttavia farlo al fine di salvare ciò per cui, se chiamato, non potrebbe dire di no: la Lega.

Fosse stato un successo, quello del partito di Matteo Salvini in Sardegna, non avrebbe comunque placato le preoccupazioni che vanno facendosi paura, tra dirigenza e militanza, per il futuro della Lega lasciata ancora nelle mani del Capitano. Ma è stata sconfitta cocente e così la necessità di costruire rapidamente un dopo, ricostruendo il partito su quel terreno geografico, sociale ed economico dov’è nato e cresciuto diventa ormai irrinunciabile agli occhi di chi, e sono sempre di più, non intende ballare al suono dell’orchestra mentre il Titanic salviniano affonda, nonostante in questo caso più d’uno avesse avvertito della rotta sbagliata.

Mai prima d’ora, neppure quando in via Bellerio arrivarono le ramazze maroniane, si era sentito come si sente più di un amministratore locale di rango, parlamentari e dirigenti che raccolgono i timori di quella che a sinistra una volta si chiamava la base, mai si era sentito pronunciare la parola sopravvivenza, legata al partito più anziano tra quelli presenti in Parlamento. E il miserrimo 3,8% uscito dalle urne dell’isola c’entra fino a un certo punto, è la strada segnata e percorsa al buio da Salvini, sempre più distante dai temi fondativi e identitari, che fa temere il precipizio alle europee e alle regionali, specie quelle al Nord ovvero il voto in Piemonte, quello che arriverà dopo le consultazioni in Abruzzo e in Basilicata.

Salvini ha più d’una ragione di temere il Doge, specie nel caso in cui svanisse definitivamente la prospettiva di governare per la terza volta il Veneto. Quando la sportellata del no al terzo mandato è arrivata con i voti di Fratelli d’ItaliaForza Italia e pure del Pd, Salvini si è scansato e ha lasciato che a prenderla in faccia fosse proprio il governatore del Veneto, usato da bersaglio grosso pure dai dem per offuscare lo schiaffo ai loro Stefano Bonaccini e Vincenzo De Luca.

Le stesse parole del Doge circa le sue preferenze verso quella che era la Lega Nord e più ancora la Liga Veneta, poi ammorbidite prima che da fiocco diventassero valanga, vengono legittimamente lette come parte del manifesto del rinnovato partito. Federalismo ancor prima politico e negli interna corporis leghisti che nel territori, legando il primo all’azione sui secondi. E poi, preso atto da tutti del fallimento della svolta nazionale e nazionalista, il ritorno aggiornato ai temi del Nord, sfrondati da quegli orpelli che servirono a Umberto Bossi – dalla secessiun alla devoluscion passando per Roma ladrona – per costruire ciò che tanti ora temono finisca del tutto in pezzi.

Che ci debba essere un dopo, ormai è chiaro. Che quel dopo sia ancora nella mani dell’attuale leader, specie dopo un probabile insuccesso europeo, sono sempre in meno a crederlo, soprattutto ad auspicarlo. Complice l’imminente competizione regionale, sentimenti bem presenti anche in Piemonte, ma ciò non toglie che il vento del cambiamento soffia nel Nord, da oriente a occidente.

A raccogliere il pesante fardello, cruciale per garantire la sopravvivenza e ricondurre la Lega su binari propri e sicuri, potrebbe essere – come abbiamo scritto nei giorni scorsi – almeno per un periodo delicato e transitorio una figura come quella di Roberto Calderoli, abile pontiere tra il vecchio e il nuovo e nel pantheon dei padri fondatori. Poi, in quel poi tutto da definire, c’è e resta l’ipotesi di Riccardo Molinari, capogruppo e quindi profilo autorevole anche nella compagine parlamentare, oggi dichiaratamente tutta salviniana e in buona parte effettivamente tale, ma anche tra i più vicini per lungo tempo al Capitano. Nel caso in cui quest’ultimo aspetto, sia pure da un po’ assai mitigato, potesse essere in qualche modo d’ostacolo, lo sguardo verso Nord-Est si farebbe assai più concentrato. E allora il nome di Massimiliano Fedriga, attuale governatore del Friuli-Venezia Giulia, potrebbe essere quello più spendibile.

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