FINANZA & POTERI

Crt, da fondazione a merchant bank. Tensioni sulla svolta di Palenzona

Malumori tra i consiglieri e critiche nelle istituzioni per gli ultimi finanziamenti decisi dal presidente. "Scelte non concordate. Va bene diversificare ma non siamo un fondo". Lui se ne impippa, censura la fuga di notizie e scuce 2 milioni per una banca romana

Da una parte vendemmia, dall’altro semina le patate. Altro che giardino di casa, per Fabrizio Palenzona la Fondazione Crt pare diventi sempre più la sua campagna dove coltivare l’indiscussa passione di fare finanza. Se il recentissimo investimento di venti milioni della cassaforte piemontese pnel centro di ricerche vinicole Enosis guidato a Fubine, nell’Alessandrino, dal guru dell’enologia Donato Lanati, ha almeno giustificazione territoriale, altrettanto non si può certo dire della successiva operazione condotta da Furbizio in gran segreto, al punto di essersi non poco adirato per quella che avrebbe giudicato una fuga di notizie. 

Bisogna guardare lontano, verso la piana agricola laziale nota per la coltivazione delle patate per scoprire l’ultima semina di Palenzona. Ovvero, l’acquisto per due milioni di euro dello 0,7% della Banca del Fucino, la più antica banca romana, fondata nel 1923 di Giovanni e Carlo Torlonia. Ma se i natali sono della nobiltà capitolina e la storia e legata alle opere di bonifica nella piana del Fucino e nel confinante Abruzzo, il presente dell’istituto di credito o più esattamente collegato al suo storico nome racconta, invece, di liti famigliari e inchieste della magistratura che riguardano una serie di operazioni dei Torlonia in occasione dell’integrazione dell’istituto di credito con Igea

Banca che nei mesi scorsi per rafforzare il suo patrimonio ha aperto il capitale a una serie di soggetti pubblici e privati, come Fondazione Nazionale delle ComunicazioniFarmitalia Industria Chimico FarmaceuticaCasa BaioccoFabio ScacciaEnpamfamiglia AngeliniSanto VersaceTxt e-Solutions e Sri Group. Un lungo elenco cui Palenzona ha deciso di aggiungere anche la fondazione che presiede, pur se appare difficile trovare una ragione che rimandi al ruolo e alla missione territoriale della stessa Crt. Oltre che nel massiccio investimento nella ricerca enologica, questo lo si può trovare anche nell’altra operazione conclusa di recente, ovvero i 40 milioni di euro spesi per acquistare il 10% delle azioni della Banca di Asti, controllata con il 31,89% dalla Fondazione Cr Asti, aprendo una partita sulla governance, ma certamente restando entro i confini piemontesi.

Ben diverso il caso dell’ingresso nella banca romana che, non a caso, sta suscitando più di un interrogativo e pure qualche irritazione all’interno stesso della fondazione di via XX Settembre, dove Big Fabrizio pare muoversi sempre più come un monarca con il non abbandonato approccio del finanziere d’alto rango che agisce con modalità da player privato pur sedendo in un’istituzione di rilevanza pubblica. Tant’è che appena incominciata a circolare, la notizia dell’ingresso nel capitale della Banca del Fucino ha provocato non poca sorpresa e tutta una serie di domande ancora senza risposta in quegli stessi Palazzi da cui proviene buona parte dei componenti del consiglio di indirizzo e dello stesso board. “Scelte non concordate – lamenta un consigliere –. E poi un conto è diversificare il portafoglio altro è utilizzarlo a propria discrezione”. 

Un’impronta molto interventista quella impressa da Big Fabrizio alla fondazione che se da un lato conferma il profilo del presidente e quindi non può stupire più di tanto di si aspettava altro, ma un modus operandi che agli occhi di molti non basta a spiegare l’operazione romana. Anche se la vicinanza della banca fondata dai Torlonia agli ambienti della destra capitolina sarebbe un dato da indurre più d’uno a supporre che la mossa di Furbizio, che si spellò le mani applaudendo Giorgia Meloni l’estate scorsa nella masseria di Bruno Vespa, possa non essere del tutto estranea a un sistema dove politica e finanza non sono mai del tutto separate, anzi. Così come non sfuggono gli intrecci tra la banca e Andrea Pignataro, il finanziere italo-londinese nuovo proprietario di Prelios, presieduta guarda caso proprio da Palenzona. Altri intravedono nei due milioni messi nella Banca del Fucino una legittima azione speculativa. Non improbabile possano reggere entrambi le ipotesi.

L’unica cosa certa, oltre all’investimento, è la reazione piccata del camionista di Tortona che non ha affatto gradito si spargesse la notizia, tanto da indirizzare ai consiglieri una nota di biasimo per richiamarli al riserbo. Quasi che l’impiego del denaro della fondazione, partecipata da enti e soggetti pubblici del territorio, fosse una questione privata.

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