TRAVAGLI DEMOCRATICI

Firmo o non firmo questo (non) è il problema. Pd nel caos, Bonaccini se ne lava le mani

Sul referendum contro il Jobs act l'ennesimo psicodramma dem. Schlein sottoscrive ma lascia libertà di coscienza, il presidente getta acqua sul fuoco pensando alle (sue) elezioni europee. Dramma nel dramma: minoranza interna a pezzi

“Evitiamo di schiacciare il dibattito su una iniziativa referendaria – legittima, ci mancherebbe – da parte della Cgil: come ha chiarito la segretaria Elly Schlein, il partito non si schiera su autonome iniziative di altri – su cui ciascuno è libero di firmare o meno sugli specifici punti – ma si unisce sulle nostre battaglie da portare in Parlamento e davanti ai cittadini. A partire da quella in corso con la nostra proposta di legge di iniziativa popolare, che prevede l’istituzione di un salario minimo legale. La questione su cui sfidiamo il governo riguarda più in generale la tutela di tutti i redditi da lavoro e la possibilità di avere buste paga più pesanti. Questa sì sarebbe una novità per l’Italia”. Si arrampica sugli specchi Stefano Bonaccini e com’era prevedibile, di fronte alla decisione della Schlein di firmare il quesito referendario della Cgil per abolire quel che resta del Jobs act, la butta in politica. Mette sotto accusa Giorgia Meloni – e ci mancherebbe altro da un esponente dell’opposizione – soprattutto per evitare di alimentare ulteriormente il clima di tensione interno al partito.Incalzati da Maurizio Landini, scavalcati da Giuseppe Conte i dem nascondono dietro la “libertà di coscienza” la loro confusione.

E così tra i molti distinguo – dopo quello dell’ex ministro Lorenzo Guerini oggi è stato il sindaco di Bergamo (e candidato alle Europee) Giorgio Gori a dire che lui non firma pur dando atto alla segretaria di essere “coerente” – la minoranza rinuncia a dare battaglia, inseguita dai renziani che da giorni denunciano l’ormai avvenuta liquidazione della componente riformista. L’imminente competizione elettorale e i precari equilibri interni inducono alla prudenza, almeno fino al 10 giugno quando, a urne chiuse, verosimilmente tutti i nodi arriveranno al pettine.

Un redde rationem che dal Nazareno potrebbe estendersi ai territori, dove alcune decisioni sulle partite elettorali (amministrative e regionali) hanno lasciato scorie nient’affatto smaltite e che potrebbero portare sul banco degli imputati alcuni uomini più vicini alla segretaria senza escludere quei componenti della segreteria responsabili delle scelte. E il pensiero corre subito a Igor Taruffi e Davide Baruffi, soci della Premiata Ditta Taruffi & Baruffi, specialista in sfracelli elettorali. Una cosa è certa, con il probabile trasloco a Bruxelles di Bonaccini anche la minoranza del partito (che perse le primarie ma vinse il congresso) dovrà dotarsi di una nuova leadership. Stufa della linea, giudicata troppo morbida e accondiscendente del governatore emiliano.

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