PAPAVERI & PAPERE

Quel mazzolin di fiori che vien dalla campagna (elettorale)

La candidata sindaco di Ovada per Forza Italia e Lega riceve sul palco un omaggio floreale da parte dei dipendenti dell'Ipab di cui è stata commissario. Ma loro negano e prendono le distanze. Mosse maldestre e sgambetti a ridosso del voto

Grazie dei fiori. Il palco non è quello del Festival di Sanremo del 1951, ma l’assai più modesto che accoglie la candidata a sindaco di Ovada per Forza Italia, sostenuta pure dalla Lega anche se non da Fratelli d’Italia. Lei, Ivana Nervi, avvocato, si presenta agli elettori, applausi, sorrisi e vuoi mica che manchi un bel mazzo di rose e anche il profumo che fa il cellofan. 

Nel Bartali di Paolo Conte una birra fa gola di più, ma la corsa qui è appena incominciata seppure se c’è chi spiega sia praticamente sia già finita, in quello dei non molti rimasti villaggi di Asterix nella provincia piemontese. Grazie dei fiori, ancor più belli nella campagna per il voto perché come ci s’affretta a spiegare arrivano dai dipendenti della casa di riposo, da anni in cattive acque e a rischio naufragio, di cui l’aspirante sindaca è fa commissario straordinario nominato dalla Regione. Non c’è il biglietto, ma il pubblico si spella le mani quando apprende che l’omaggio all’ex commissaria ora candidata è per quanto fatto da lei per il bene di tutti. Sipario.

Passa qualche giorno e di quei fiori restano solo le spine, dritte nel fianco dell’aspirante prima cittadina e dei partiti che la sostengono e dove probabilmente s’annida l’artefice di una scena che pare tratta dalle pagine migliori del tragico Fantozzi. Altro che dipendenti lesti a omaggiare il commissario galattico, i sei addetti su cui conta la casa di riposo scrivono e diffondono una lettera piccata in cui disconoscono la paternità di quel mazzo di fiori, peraltro effettivamente consegnato alla candiata proprio da uno di loro che poi sottoscriverà l'abiura. “Nessuno di noi ha comprato quel mazzo di fuori, né ma ha avuto l’intenzione di farlo”, spiegano negando pure i presunti apprezzamenti per il lavoro del commissario, anzi. 

Tafazzi non avrebbe saputo far meglio di chi ha pensato quel coup de theatre, ben presto svelato come un pasticciato gioco di prestigio e raccontato nell’Alessandrino a ridosso dell’Appenino come la versione floreale in sedicesimo della parentela di Rubi Rubacuori. 

A proposito, non sarà che dietro quel mazzo di fiori adeguato alla bisogna elettorale non si celi un indichiarato principe, azzurro, ça va sans dire.

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