Roccella, contestazione o censura?

Lo sappiamo tutti che il confine tra la censura e la contestazione è molto, ma molto stretto. E il recente, ed ennesimo, episodio legato al “caso Roccella” lo ha nuovamente confermato. Nel caso specifico, la ministra Roccella non è riuscita a fare il suo intervento agli “Stati generali sulla natalità” perché impedita da un folto gruppo di contestatori. E lì si è aperto, e per l’ennesima volta, il dibattito. L’intero centro destra e alcune forze di opposizione solidarizzano con la ministra ma la sinistra, nelle sue multiformi espressioni, non lo fa perché, tutto sommato, è molto soddisfatta e felice di questa plateale contestazione.

Ora, proprio su questo versante si gioca la differenza tra chi si richiama ai principi democratici secondo i quali tutti possono e debbono esprimere liberamente la propria opinione e chi, invece, teorizza che se non riesci a parlare ne devi semplicemente prendere atto perché la contestazione è sempre legittima e sacrosanta. E certamente lo è purché non venga sfregiata o limitata la libertà di parola e di espressione dei tuoi avversari che sono costituzionalmente garantiti.

Certo, il protocollo prevede che quando c’è una censura o una contestazione violenta nei confronti di un tuo avversario politico arriva, seppur blandamente e distrattamente, una solidarietà. Una solidarietà però, che questa volta non è manco arrivata da parte di chi guida il principale partito della sinistra italiana, il Pd, e, men che meno, da parte dei vari gazzettieri della sinistra televisiva, accademica, intellettuale ed artistica. Silenzio da parte dei vari “martiri e vittime” della libera informazione, ovviamente tutti milionari, e che trascorrono il loro tempo quotidiano nelle varie emittenti televisive e nelle redazioni giornalistiche a denunciare l’imminente arrivo del regime dispotico, la progressiva soppressione delle libertà, la negazione del diritto di parola, il bavaglio alla democrazia e quindi il non rispetto dei valori della Costituzione.

Insomma, per farla breve, secondo questa interpretazione quando in pubblico si viene contestati e zittiti è, semplicemente, la regola della democrazia. In punta di diritto una tesi ineccepibile. Purché, come ovvio, non capiti a sinistra perché altrimenti, e puntualmente, scatta l’allarme del regime illiberale, della torsione autoritaria, della restrizione delle libertà, del ritorno dell’intramontabile fascismo, della negazione sistematica del diritto alla parola e altre corbellerie similari.

Ora, e proprio di fronte al “caso Roccella”, emerge un dato inequivocabile. E cioè, questo atteggiamento evidenzia un solo dato che resta costitutivo dell’ideologia – e non della cultura o del pensiero – della sinistra. Ovvero, chi ha una opinione diversa, o addirittura alternativa, rispetto a quella che rappresenta la vulgata corrente o il sempreverde “politicamente corretto”, semplicemente può e deve essere contestato. E se del caso anche zittito. Era così ai tempi della Democrazia Cristiana. È così se governa il centro destra e sarà sempre così ogniqualvolta si avanzano tesi in aperto contrasto con chi fa della “superiorità morale” e della “arroganza intellettuale e culturale” la sua ragion d’essere nella società e nel dibattito pubblico.

Un tic, questo, che spiega meglio di qualsiasi altra osservazione come viene declinato e praticato in quel campo – rafforzato anche dall’ingresso dei populisti interpreti dell’antipolitica e del giustizialismo più spietato – il pluralismo. Perché, alla fine, si tratta sempre e solo di capire come si declina concretamente il pluralismo e il rispetto dell’avversario. E quando l’uno si interpreta come la difesa e il rispetto delle proprie opinioni – e solo di quelle – e l’altro viene vissuto all’insegna del rapporto con il proprio nemico irriducibile, è chiaro a tutti che ci troviamo di fronte al germe dell’intolleranza e della più spietata arroganza morale e culturale. E il tutto, e qui emerge il paradosso, viene terrorizzato e praticato in nome e per conto della Costituzione.

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