Sì alle preferenze ma con i partiti

Non sono un nostalgico, anche se la tentazione è sempre dietro l’angolo. Una regola di vita che, purtroppo, attraversa ciascuno di noi. Ma, quando si parla di preferenze, di selezione democratica della classe dirigente dal basso, di competizione elettorale e, soprattutto, di qualità della nostra democrazia, il pensiero corre veloce ad un sistema che, per lunghi 50 anni, ha caratterizzato la vita politica italiana. E quel sistema si chiamava semplicemente “proporzionale con preferenze multiple”. Un sistema che si basava su tre aspetti fondamentali: garantire una equa rappresentanza proporzionale delle varie offerte politiche e programmatiche; permettere una selezione democratica dal basso attraverso le preferenze multiple e, in ultimo ma non per ordine di importanza, certificare il pluralismo culturale all’interno dei partiti politici. Un esempio concreto? Eccolo.

Nel mio partito dell’epoca, la Democrazia Cristiana, si poteva scegliere liberamente la classe dirigente attraverso l’utilizzo delle preferenze multiple. Meccanismo che permetteva, concretamente, alla corrente/comunità della “sinistra sociale” di Forze Nuove guidata da Carlo Donat-Cattin di poter sottoporre agli elettori la sua squadra migliore in rappresentanza di un mondo sociale e culturale che, con altri, contribuiva a comporre e a consolidare l’interclassismo di quel partito, la Dc.

Ho voluto citare appositamente quell’esempio - a cui se ne potrebbero aggiungere moltissimi altri per altri partiti - per arrivare ad una persin banale conclusione. Ovvero, le stesse preferenze che oggi sono previste per l’elezione dei rappresentanti politici in alcuni livelli istituzionali – dalle Regioni al Parlamento Europeo agli stessi Comuni – hanno un senso e un significato se, però, sono accompagnate dalla presenza dei partiti. Penso, nello specifico, ai partiti popolari, organizzati, democratici, espressione di precisi interessi sociali e culturali e profondamente radicati nella società e nei territori. Perché se mancano questi ingredienti fondamentali è la stessa competizione elettorale che rischia di finire compromessa. E la conferma arriva puntuale dal crescente astensionismo elettorale da un lato – come confermano, ad oggi, tutti i sondaggi che sono stati pubblicati – e, dall’altro, da un sistema delle preferenze che paradossalmente prescinde dagli stessi partiti. Ovvero, candidati che certamente si riconoscono, seppur genericamente, in una formazione politica, ma che potrebbero essere candidati da qualunque parte perché privi di quell’ancoraggio ideale, politico e culturale che solo un patito organizzato può garantire.

Ecco perché, forse, è anche giunto il momento per dire con chiarezza che il sistema delle preferenze – in sé positivo e squisitamente democratico – è serio e credibile solo se esistono partiti forti e riconoscibili. Altrimenti il rischio è che anche con il sistema delle preferenze non si risolve il vero nodo della qualità della democrazia contemporanea. Ovvero, per ridare credibilità ed autorevolezza alla classe dirigente politico ed amministrativa non si può prescindere dall’articolo 49 della Costituzione repubblicana che prevede la presenza e il ruolo decisivo che possono e devono avere i partiti democratici. E questo perché le preferenze senza partiti organizzati e riconoscibili come tali non sono credibili. Come non sarebbero credibili i partiti senza una selezione democratica della classe dirigente, cioè attraverso il sistema delle preferenze.

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