ALLE URNE

Piemonte Damilano a Bruxelles, scatta il voto utile alle europee

Schiacciata dalla preponderanza lombarda la regione rischia di non avere rappresentanti all'europarlamento. E siccome il mondo produttivo è fatto di gente pratica si fa largo l'idea bipartisan di puntare sull'unico che ha reali possibilità: l'imprenditore acqua & vino

Voto utile per far di necessità virtù. È la condizione in cui si trova buona parte dell’elettorato piemontese, in una regione certo non premiata con abbondanza nell’offerta di candidature per l’Europa e che, nella geografia politica proiettata sullo scenario di Bruxelles, da sempre deve vedersela con l’arsenale di voti della Lombardia.

Una predestinazione, quella di dover fare i conti con la superiorità numerica lombarda. che certo ha trovato poca a nulla risposta in buona parte delle forze politiche con il rischio, stavolta assai prossimo alla conferma, di lasciare il Piemonte e becco asciutto in Europa. Non è arrivata dal Partito Democratico che a parte qualche “comparsa” – da Antonella Parigi Davide Mattiello al volenteroso Luca Jahier – non è riuscito a mettere nessuno in un ruolo da protagonista o, comunque, con nome e posizione tale da poter ambire a conservare quella rappresentanza che nell’ultimo scampolo di legislatura era stata in capo a Mercedes Bresso, subentrata al dimissionario Francesco Majorino, lombardo ovviamente. 

E non va meglio sul versante opposto, pur favorito dal vento della maggioranza alla guida del Paese e dall’onda cavalcata da conservatori e da forze ancor più a destra. Nella Lega, che rischiera gli uscenti Gianna Gancia e Alessandro Panza tra una pattuglia lombarda di mietitori di preferenze come Silvia SardoneIsabella Tovaglieri e Angelo Ciocca, non appare certo come un aiuto l’esternazione di Salvini sul suo voto a Roberto Vannacci. L’essere, il generale, all’ultimo posto della lista non riduce affatto la sua temibilità da parte di chi già deve faticare a raccogliere più consensi di coloro che stanno al di là del Ticino e non riduce il problema di quella presenza ingombrante e mal digerita in una buona fetta del partito. Soprattutto al Nord tra i militanti e, non di meno, nei suoi ceti produttivi da sempre lontani dal centralismo e dallo statalismo incarnato da Vannacci, per non dire delle sue esternazioni sempre più ammiccanti a una destra nostalgica da cui si sta affrancando a passi lesti la stessa Giorgia Meloni.

Proprio quei ceti produttivi, anche quelli storicamente più affini alla sinistra, in Piemonte non nascondono delusione e riflessione di fronte all’impronta data da Elly Schlein all’offerta per l’Europa, sia pure in parte affievolita dalla resistenza riformista che ha piazzato suoi uomini, in primis Giorgio Gori e Pierfrancesco Maran, ma sempre pescando nel bacino lombardo.

Non riducibile a questione di campanile, la presenza di candidati del territorio è e resta una questione che non potrà che avere i suoi strascichi dopo il voto. E sarà, appunto, da vedere quanto pesanti. Non certo libero da ostacoli e difficoltà, ma per molte circostanze minori rispetto a molti altri, pare essere un altro candidato piemontese, peraltro piazzato in posizione tale da rendere palese l’intendimento di puntare su di lui per la pattuglia azzurra del Nord Ovest a Bruxelles. Paolo Damilano, l’imprenditore dell’acqua & vino, affacciatosi alla politica con la sua candidatura a sindaco di Torino, nel suo ticket con Letizia Moratti e in tris con Antonio Tajani ha concorrenti interni assai temibili, partendo appunto dall’ex sindaco di Milano, passano per mister preferenze Massimiliano Salini e lo stesso segretario del partito sia pure, in questo caso, con la prospettiva della rinuncia. Anzi proprio il fattore T, come Tajani, potrebbe avvantaggiare il torinese Damilano portandolo tra i più probabili a poter evitare il “cappotto” europeo per il Piemonte, magari anche raccogliendo consensi proprio in quegli ambienti produttivi compresi quelli che, sempre meno legati ai partiti storicamente di riferimento, guardano al voto utile a una rappresentanza piemontese in Europa.

Rappresentanza che, a pochi giorni dal voto, presenta ulteriore incognita proprio nel partito più grande, in quei Fratelli d’Italia che schiera Federica BarberoVincenzo Amich, ma soprattutto un nome, anzi un cognome pesante, quello di Giovanni Crosetto, nipote del ministro Guido. Pochi manifesti, una campagna apparentemente sottotono quella dell’attuale consigliere comunale di Torino che nessuno sembra sia in grado di pesare quanto a preferenze e, soprattutto, quanto peserà la mole politica dello zio. Basta la parola, diceva una vecchia reclame. In questo caso, ad aprire una breccia nel muro lombardo sul fronte fraterno, basterà il cognome?

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