Un voto sulla fiducia

La qualità della democrazia, il rafforzamento e la credibilità delle istituzioni, il rilancio della politica e la stessa efficacia dell’azione di governo passano anche, e soprattutto, attraverso la partecipazione elettorale. Ricordarlo sembra un disco rotto, ma così non è. E per una ragione persin troppo semplice da spiegare. Perché quando non si partecipa più alle elezioni, cioè non ci si reca più alle urne, si certifica un distacco plateale – e pubblico – dalla vita concreta della “res publica”. Ovvero, per dirla in altre parole, da tutto ciò che caratterizza la vita pubblica nel nostro paese. E l’astensionismo, purtroppo, è il termometro concreto che misura la reale adesione dei cittadini alla fedeltà alle istituzioni e alla fiducia nei confronti di tutto ciò che è riconducibile al pubblico.

Ora, è abbastanza evidente che la scarsa considerazione nei confronti dei partiti e della classe politica nella sua interezza genera inesorabilmente, e comprensibilmente, un allontanamento dalle urne. Ma questa sfiducia, prima o poi, dovrà per forza di cose invertire la sua rotta pena la formazione di un blocco sociale maggioritario che non si riconosce più nelle dinamiche concrete delle istituzioni democratiche. E non c’è pericolo peggiore per la vita democratica di un paese di prendere atto che settori crescenti della pubblica opinione si allontanano dallo Stato. Perché, alla fine, quello è il rischio e la tentazione peggiore per una democrazia che non vive di slogan ma si nutre solo di partecipazione e di condivisione delle regole. E quando questo filo si spezza è inevitabile che la stessa democrazia, e gli istituti che la compongono, si impoveriscono progressivamente. Ed è proprio su questo versante che poi si addensano le nubi più insidiose. Perché quando i principi, i criteri e i valori della democrazia entrano in crisi – a cominciare, appunto, dalla non partecipazione al voto – è quasi inevitabile che cresce, al contempo, la domanda di tutto ciò che è agli antipodi di una credibile e trasparente vita democratica.

La prima conseguenza, di norma, è sempre quella della richiesta “dell’uomo forte”. Cioè di una figura che affronta, e risolve, le situazioni più difficili di un paese attraverso la rinuncia o il rinnegamento della prassi, della cultura e della procedura democratica e liberale. L’uomo forte, infatti, è la conseguenza del tramonto concreto della democrazia con la relativa, e conseguente, affermazione dei disvalori della vera, e non finta o virtuale, deriva illiberale. Ma, per non scatenare facili allarmismi o lanciare inutili prediche, è pur vero che l’inversione della rotta passa anche, e soprattutto, attraverso piccoli passi concreti. E il nodo dell’astensionismo elettorale è il caposaldo essenziale per il potenziale recupero della prassi e della cultura democratica. Dopodiché, come ovvio e scontato, si rende sempre più necessario anche rilanciare il ruolo dei partiti democratici, popolari e di massa e, al contempo, il valore e la centralità delle rispettive culture politiche.

Insomma, il voto dell’8/9 giugno non si ferma al rinnovo dei Consigli Comunali, della Regione Piemonte e del Parlamento Europeo ma si inserisce, invece, in un quadro più generale che misura anche il tasso di fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Di tutte le istituzioni

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