SCENARI

Cirio scommette sul pentapartito per allentare l'abbraccio "fraterno"

FdI sarà l'azionista di maggioranza della prossima giunta ma con un peso inferiore a quello della Lega di cinque anni fa. Il governatore avrà buon gioco destreggiarsi tra salviniani, FI, Noi Moderati e la lista civica. Da oggi 3,3 milioni elettori piemontesi alle urne

Pur ampiamente ribaltato, il risultato che uscirà dalle urne delle elezioni regionali del Piemonte riguardante Lega e Fratelli d’Italia, rispetto ai numeri di cinque anni fa, non sarà propriamente a specchio. E ciò consentirà ad Alberto Cirio, guardandosi in quello delle sue brame, di potersi dire ancora una volta il più fortunato del reame.

Una buona sorte quella che si annuncia per il secondo mandato del governatore azzurro che, politicamente, pone le basi proprio su quei pesi interni alla maggioranza che, sia pure destinati a mutare notevolmente cambiando “titolari”, non saranno più così marcati come accaduto dal voto del 2019. E, come si vedrà, questo non potrà che essere un vantaggio ulteriore per Cirio.

Non serve cercare in sondaggi dell’ultima ora, peraltro impubblicabili, bastando quelli noti e sovrabbondanti a escludere una situazione, appunto, speculare tra il partito di Giorgia Meloni e quello di Matteo Salvini rispetto al voto in Piemonte di un lustro addietro. Allora la Lega, raggiungendo il picco massimo, incassò il 37,8 per cento, mentre i Fratelli d’Italia si fermarono al 5,5. Un esito elettorale che permise all’azionista di stragrande maggioranza della coalizione di rivendicare e ottenere sette posti in giunta, tra cui quello di maggior peso, ovvero la Sanità. Ma al contrario di quanto potrebbe annunciarsi e verificarsi nell’impossibile esatto ribaltamento della situazione oggi, il partito di Salvini al di là della partenza con botto e seguito decisamente meno sfolgorante sull’autonomia non ha mai impresso, né imposto in maniera palesemente forzata la sua linea politica al presidente. Forse perché nel mezzo è arrivato il Covid, forse perché una linea chiara dalla Lega, già ondeggiante tra istanze nordiste e spinte nazionaliste, in Piemonte inteso come Regione non s’è mai vista arrivare, con l’esito finale simile a quello della più famosa invisibile all’arrivo.

Non sarebbe così nel caso in cui il partito della Meloni, in ambito regionale, ricalcasse quei numeri dell’alleato, anziché come da più parti previsto avanzare prepotentemente sì, ma fermandosi al di sotto di una dozzina di punti o giù di lì rispetto allo storico exploit leghista. Cirio di questo, ovvero della determinata volontà fraterna di dettare la linea politica, ne è ovviamente ben consapevole, così come della situazione in cui un governatore, in questo caso di Forza Italia, si troverebbe nel caso in cui FdI entrasse in possesso di un peso elettorale pari o simile a quello ottenuto dalla Lega nel 2019. La stessa Lega che, per analoghe ragioni a quelle che faranno veleggiare attorno al 20 per cento Fdi, pur mettendo in conto una drastica riduzione di consensi difficilmente li vedrà calare sotto il 10 per cento, sicuramente non ipotizzabile neppure dai più pessimisti quello scenario speculare del 5,5. 

Il responso che arriverà, non si sa con quanta partecipazione al voto da parte dei 3,3 milioni di elettori, è destinato a riconfermare il centrodestra alla guida del Piemonte, ma con una redistribuzione all’interno della coalizione assai meno sbilanciata rispetto alla precedente consultazione. A questo concorrerà pure Forza Italia, decisamente in ripresa rispetto alle lugubri previsioni dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi tanto a alimentare l’immagine di un sorpasso sulla stessa Lega, così dovrebbe fare la sua parte anche il Piemonte moderato e liberale, ovvero la lista del presidente, insieme alla presenza sulla scheda di Noi Moderati di Maurizio Lupi.

Più che un temibile (quasi) monocolore meloniano, Cirio si appresta a guidare, evitando di esser guidato, una sorta di redivivo pentapartito, mai troppo celebrata soluzione che nel nome della pari dignità riconosciuta dalla Dc ai partiti laici, assicurò i governi del Paese per un decennio. Senza bisogno del camper, il governatore che qualche gene democristiano lo conserva, la soluzione al potenziale problema la vedrà quasi certamente arrivare dai seggi. Al suo, il numero 4 nel Civico Istituto Musicale Rocca di Alba, arriverà domenica alle 11, ma è al capoluogo, a Torino che diretti e interessati e osservatori guardano con attenzione e difficoltà di pronostici. Lì, nel non più solido e fortificato come un tempo Villaggio di Asterix della sinistra si gioca la partita più incerta, ma anche più rischiosa per il Partito Democratico.

Se l’ininterrotto periodo di inespugnabilità terminasse con la supremazia nel voto del centrodestra, ciò sarebbe qualcosa più di una vittoria e, per il centrosinistra, più di una sconfitta. Dalle sue Langhe, contrariamente a Elly Schlein, Cirio a Torino lo hanno visto arrivare e la sua presenza non è più neppure l’ombra di quella inizialmente e sospettosamente forestiera. Il suo stesso consolidato e ben più che istituzionale rapporto con il sindaco Stefano Lo Russo è, oggi nella sinistra, un motivo in più per temere ciò che potrebbe accadere. Ma è anche l’ulteriore evidenza del tratto politico del governatore, aperto al confronto e alla trattativa per fini condivisi, senza rinunciare all’esercizio completo del ruolo, amministrativo e politico. Lo stesso che gli sarà garantito da quel bilanciamento interno dei pesi delle varie forze politiche della maggioranza che emergerò dal voto, evitando una rischiosa egemonia fraterna e poggiando su una riproposizione, riveduta e aggiornata, dell’indimenticato pantapartito.

print_icon