Il sogno Usa e getta

Finita la tornata elettorale c’è, come sempre, chi canta vittoria e chi invece (in un angolo buio di casa) si lecca le ferite. I segretari nazionali e regionali invece non perdono mai, poiché per loro la vittoria è lampante, e si stupiscono di dover sempre rilasciare dichiarazioni agli organi di stampa per enfatizzare il proprio trionfo.

A questo turno hanno vinto tutti, chi più e chi meno. I milioni di voti persi tra gli alleati della coalizione che sostiene la premier sono poca cosa, e i calcoli giornalistici sui risultati elettorali ignorano abitualmente un dato importantissimo: quello inerente all’astensionismo. I cronisti, in specie quelli televisivi, si affrettano inoltre a declamare il de profundis solo per Giuseppe Conte, mentre non degnano di attenzione il crollo di Salvini, il quale per sopravvivere ha dovuto ricorrere alla candidatura di un profondo intellettuale, qual è il generale dell’uomo qualunque: alto ufficiale che detesta tutto, e forse anche un po' sé stesso.

Naturalmente, sempre secondo gli opinionisti della tv, hanno vinto i partiti che sono fedeli atlantisti, mentre ha perso chi vuole la pace (compreso papa Francesco) e ha inserito quindi la parola “pace” nel simbolo elettorale: ogni riferimento ancora una volta a Conte è puramente casuale (con una stoccata però anche a Santoro). Analisi che si sovrappongono una all’altra, me che hanno una grande caratteristica comune, ossia quella di non considerare minimamente il partito che ha conquistato la maggioranza assoluta e che, quindi, ha eletto il più grande numero di (non) parlamentari.

L’astensionismo, in queste elezioni, ha superato il 50%, ridicendosi al 40% in Piemonte, dove si svolgevano le consultazioni regionali, oltre al rinnovo del Parlamento di Strasburgo. Il non voto è in assoluto il primo partito della Penisola, per cui coloro che dichiarano di aver vinto in realtà devono dimezzare le proprie percentuali conquistate nelle urne. In sintesi, una cosa è vincere con il 40% del 100% di elettori, e un’altra è portare a casa il 40% del 46% degli aventi diritto al voto: uno studente di quinta elementare confrontando i due dati saprebbe calcolare la differenza in voti assoluti, e direbbe alla maestra che i cosiddetti vittoriosi hanno poco da festeggiare. 

Un italiano su due non vota e dichiara in questo modo la propria distanza dalla Politica. Una distanza non rispettata purtroppo reciprocamente, poiché la politica non ignora chi la ignora, anzi si interessa in maniera invasiva di tutte e tutti, tramite leggi e provvedimenti vari: ignorarla è quindi una resa al fato, al destino crudele (resa del tipo “chiudo gli occhi e spero che nessuno mi veda”). 

La privatizzazione della sanità piemontese, iniziata tempo fa e realizzata in modo massiccio durante la prima presidenza Cirio, proseguirà senza sosta grazie al risultato elettorale dell’8 e 9 Giugno. La lenta (e inesorabile) uscita del pubblico dagli ospedali andrà a interessare sia chi ha votato con l’intento di fermare l’ingresso dei privati nella cura delle persone, e sia chi invece ha scelto di starsene a casa dopo aver detto ai familiari “Sono tutti uguali”. 

Allo stesso modo continuerà la degenerazione dell’Unione Europea, nata con lo scopo di perseguire la pace e trasformata (soprattutto con la presidenza Von der Leyen) in un burattino nelle mani della lobby dell’industria delle armi, nonché in una sorta di confederazione a guida presidenziale. L’invadenza istituzionale di von der Leyen, che ha cucito su di sé un ruolo non previsto negli atti costitutivi europei (autocandidandosi a Presidente della Commissione e avviando una procedura inedita quanto pericolosa per la democrazia della UE), sarà subita da chi ha votato a sinistra come da tutti coloro che hanno scelto di andare al mare o in montagna anziché recarsi ai seggi. Volenti o nolenti i cittadini europei dovranno subire un’Europa presidenziale, guidata dalla von der Leyen stessa, e dai toni guerrafondai (malgrado il crollo elettorale di Macron e dei Verdi tedeschi, e quindi dei raggruppamenti pro invio di truppe in Ucraina), accettando a scatola chiusa percorsi decisionali molto lontani dal modello partecipativo.

L’astensionismo, ignorato sino a fingere che non sia assolutamente una sconfitta della democrazia, non solo consegna carta bianca alle forze politiche, che escono rafforzate dalle elezioni e con un mandato pieno malgrado la scarsa affluenza alle urne, ma prepara innanzitutto il campo a regimi più o meno dittatoriali. Un conto infatti è non votare riempiendo però le piazze di manifestanti, ogniqualvolta i governi approvano atti a favore delle classi economiche dominanti, un altro invece è astenersi e stare pure zitti quando il premier di turno elimina un diritto assoluto (come ad esempio quello universale alla salute). 

Basta pensare a un astensionismo del 50%, alla riforma presidenzialista della Repubblica, alla sanità affidata ai privati (funzionale solo per chi si assicurerà) e al riarmo dell’Esercito per comprendere qual è il modello politico perseguito da chi comanda davvero in questo Paese. 

Il “sogno americano” è dietro l’angolo, ma le sue premesse lo rendono più simile ad un incubo da cui non si può uscire neppure svegliandosi.

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