SACRO & PROFANO

Grillismo e parrocchie senza preti. Parte l'Anno Zero della Chiesa

I critici del "ripensamento della presenza cristiana sul territorio", imposto dal vescovo di Torino Repole, saranno "accompagnati a vivere bene un'autorità condivisa e partecipata. Ergo esautorati. Gli strali del liturgista progressista Grillo sulla Messa antica

Il nuovo “modello di Chiesa”, e cioè «il ripensamento della presenza cristiana sul territorio», su cui torneremo con una più approfondita riflessione, è stato presentato al Consiglio pastorale della diocesi di Torino del 31 maggio scorso. Esso si impernia sulla cruciale figura del «Ministero di coordinatore di comunità senza parroco residente in equipe». Questo «ministro» sarà un laico scelto dalla comunità dopo un triennio di formazione che prevede anche un’area denominata significativamente «Anno zero». Un titolo che ben si addice ai fautori, come l’arcivescovo Roberto Repole, di quell’ermeneutica della rottura per cui la Chiesa diventa veramente Chiesa solo con il Vaticano II. Alla domanda se il progetto è stato condiviso dai parroci, don Paolo Tomatis, ha risposto che esso è stato presentato all’assemblea del clero di Torino e Susa e «possiamo dire che in generale c’è stato molto interesse, da parte di qualcuno qualche dubbio. In pochi casi c’è stata una posizione di difesa da parte di chi ha una certa idea del parroco», un’idea che non ha voluto esplicitare in che cosa consista ma, aggiunge ancora il liturgo, ci sarà il tempo per «accompagnare i parroci a vivere bene un’autorità condivisa e partecipata». Ad essere cioè esautorati.

Nel dibattito nessuno ha sollevato l'obiezione di fondo per cui un incarico di tanta importanza, che addirittura si denomina come ministero, non sia prerogativa del vescovo ma venga indicato dal basso con la comunità che stabilisce e sceglie i propri ministri. In termini tecnici si tratta del «congregazionalismo», una forma di governo di radice calvinista in cui ciascuna comunità (congregazione) si organizza e si gestisce in modo autonomo. Nelle conclusioni, l’arcivescovo ha invitato tutti a mettersi in uno stato di «discernimento continuo e corale», di «non ragionare nella logica della spartizione del potere» (sic!), e ha espresso infine il desiderio «che tra 50 anni ci sia ancora una comunità cristiana a Susa e Torino».

Orémus et pro Antistite nostro Roberto. Anche perché, come lo Spiffero aveva fin dall’inizio previsto, i  “boariniani”, dopo aver spartito fra di loro tutti i posti chiave, stanno caricando il basto delle parrocchie vacanti sulle spalle dei non allineati in attesa che arrivino i ministri laici a fare i parroci. Ricevendo però significativi e inaspettati rifiuti.

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Il settimanale diocesano torinese sta dando spazio ai temi bioetici rispondendo ad alcuni cattolici militanti che dissentono dal Magistero o anche solo dalle prese di posizione di papa Francesco. Così Enrico Larghero, medico e teologo morale, docente di Bioetica, presentando un intervento di Valter Boero e Silvia Tossut, esponenenti del Movimento per la vita che commentano il documento Dignitas infinita sulla tutela della vita nascente, afferma: «Siamo testimoni di un particolare momento della storia occidentale. Difendiamo la natura, sosteniamo l’ecologia e la svolta green, ma ricorriamo alla fecondazione in vitro; siamo per la pace, ma pratichiamo l’aborto e l’eutanasia. Il nostro è veramente il tempo dei paradossi...». Così pure sui cosiddetti «stereotipi di genere» e sull’ideologia gender di cui un lettore contesta l’esistenza, il diacono Giorgio Agagliati, risponde che tale ideologia invece esiste e si connota come «uno strumento che punta alla fluidificazione delle identità minacciando i giovani» ribadendo la «necessità di una identità definita». Questo sempre «nel rispetto degli orientamenti sessuali».

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Chi non conosce gli U2? Fra i grandi estimatori della famosa rock band non poteva non esserci il vescovo di Pinerolo, monsignor Derio Olivero, che spesso li cita nelle sue omelie come fossero i Padri della Chiesa. Così, il presule, detto anche lo “Sgarbi de’ noantri” per la sua attività di critico d’arte, è intervenuto il 28 giugno ad un concerto di solidarietà dedicato al repertorio della band irlandese con propri e opportuni commenti e dove avrà pure cantato e ballato. L’«indietrista» che ci ha segnalato la performance episcopale si è chiesto – poveretto! – quando Derio uscirà dal suo circuito autoreferenziale e si metterà a fare il vescovo. Forse quando, preso atto della «Chiesa in dissoluzione», anche i giullari riprenderanno ad essere tali.

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Da un po’ di tempo i due campioni del progressismo italiano, l’ex priore di Bose Enzo Bianchi e il liturgista Andrea Grillo, si occupano dei tradizionalisti con preoccupazione e questo dice che quanto va sostenendo il nunzio apostolico a Parigi, l’arcivescovo monsignor Celestino Migliore, circa la loro insignificanza e marginalità è detto soprattutto per tranquillizzare i vescovi francesi, questi sì, e da tempo, sempre più marginali. Secondo il guru di Albiano d’Ivrea il più che controverso arcivescovo Carlo Maria Viganò non darà luogo a nessuno scisma perché non avrebbe alcun seguito e su questo conveniamo. C’è però un aspetto della questione che Enzo Bianchi non coglie. I progressisti, in tutte le loro accezioni, pur avendo spesso molti più motivi dei conservatori per separarsi da Roma, non faranno mai uno scisma, che potrà avvenire solo e sempre da «destra». Non soltanto per motivi teologici, ma anche per ragioni molto più terra a terra.

Andarsene da Roma vuol dire lasciare tutti i benefici pratici ed economici che rimanervi comporta e perseguire la via stretta delle privazioni e delle ristrettezze, quindi niente più 8 per mille in Italia o proventi della tassa sulla Chiesa in Germania. Infatti, per affrontare tali disagi bisogna avere fede, una fede convinta e rocciosa. E poi molto del programma dei modernisti – la conquista di Roma dall’interno – è stato per gran parte realizzato. Così si esprimeva Ernesto Buonaiuti (1881-1946) nel 1943: «Fino ad oggi si è voluto riformare Roma senza Roma, o magari contro Roma. Bisogna riformare Roma con Roma, fare che la riforma passi per le mani di coloro i quali devono essere riformati. Ecco il vero ed infallibile metodo, ma è difficile. Hoc opus, hic labor. Il culto esteriore durerà sempre come la gerarchia, ma la Chiesa, in quanto maestra dei sacramenti e dei suoi ordini, modificherà la gerarchia e i culto secondo i tempi: essa renderà quella più semplice, più liberale, e questo più spirituale e per questa via essa diventerà un protestantesimo; ma un protestantesimo ortodosso, graduale, e non uno violento, aggressivo, rivoluzionario, insubordinato, un protestantesimo che non distruggerà la continuità apostolica del ministero ecclesiastico né l’essenza del culto». Come oggi per i neo-modernisti la loro ragione si lega sempre al potere e mai alla Verità.

Per Bianchi e, in termini più articolati, per l’economista Luigino Bruni che è intervenuto dalle pagine di Avvenire sul tema del divorzio tra cattolicesimo e cultura, il declino della Chiesa è dovuto non ai disastri del post-Concilio ma all’intransigentismo e alla condanna del modernismo che avrebbe generato quello «scisma sommerso» descritto più di venticinque anni fa dal filosofo Pietro Prini (1915-2008). Bruni parte dal teologo martire Dietrich Bonhoeffer (1906-1945), dal suo mondo diventato adulto e secolare e della necessità per i cristiani – secondo una visione prettamente storicistica – di adeguarsi ad esso a partire dal linguaggio. Il teologo tedesco era protestante e la sua visione è perfettamente coerente con la rottura luterana tra natura e grazia, ma per un cattolico il mondo non potrà mai divenire adulto e completamente secolare in quanto la grazia non avrebbe più nessuna influenza sulla natura e quindi sulla società. Quando il cristianesimo si sarà modernizzato diventerà insignificante e incomprensibile e anche la Parola rimarrà senza parole.

Circa Andrea Grillo, questi ha risposto ad alcune domande postegli dal blog Messa in latino dove ha menato fendenti, senza esclusione di colpi, contro Benedetto XVI e contro la possibilità che si possa celebrare ancora la Messa antica. Secondo lui 18.000 giovani che si sobbarcano ogni anno il pellegrinaggio da Parigi a Chartres sono irrilevanti e anche la scarsità di vocazioni o il deserto delle chiese non sono che «il segno di un travaglio necessario». Per arrivare dove non si sa. Per il “Grillo parlante” occorre invece «dare ai nuovi riti la figura personale ed ecclesiale, individuale e comunitaria, di iniziazioni alla preghiera, come linguaggio primordiale, di iniziazione all’incontro con ogni altro, per scoprirne e onorarne la infinita dignità». Sfidiamo chiunque a spiegarci che cosa questo oscuro linguaggio – corrente fra i liturgisti – significhi.

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