POLITICA & SANITÀ

Le Regioni bocciano Schillaci: "Senza soldi per le liste d'attesa"

Pollice verso della Conferenza sul decreto. Casus belli i controlli sulle Asl che scavalcherebbero le Regioni. Ma la questione vera è la mancanza di risorse. Quelle previste sarebbero già state spese, come in Piemonte e in altre parti del Paese

Niente nozze coi fichi secchi. Il messaggio delle Regioni al Governo è chiaro: per attuare le misure previste dal decreto sulle liste d’attesa servono altri soldi, che ad oggi non ci sono. E se quel testo non viene modificato – è ancora il messaggio partito dalla Conferenza presieduta dal governatore del Friuli-Venezia Giulia Massimiliano Fedriga – le Regioni mantengono il loro parere negativo. 

In verità il nodo formale che ha portato alla bocciatura (con il solo voto contrario del Lazio) è un altro e riguarda l’articolo 2 del decreto nel quale si affida a un organismo centrale (di fatto all’Agenas, ma anche con l’eventuale apporto dei carabinieri del Nas) il controllo sull’attività delle Asl, scavalcando di fatto le stesse Regioni. Un aspetto del testo, questo, su cui la Conferenza aveva già lanciato segnali molto chiari al ministro Orazio Schillaci, chiedendone come viene reiterato ora la riscrittura. Nel documento della Conferenza si pone addirittura il tema della legittimità costituzionale, ma ancor prima viene sottolineato come l’attuale formulazione dell’articolo contestato venga ritenuta dalle Regioni “quantomeno lesiva del principio di leale collaborazione” tra enti e strutture dello Stato. Era stato lo stesso coordinatore della commissione Salute, l’assessore dell’Emilia-Romagna Raffaele Donini nei giorni scorsi a pronunciare parole molto dure verso il testo del ministro: “Un conto è controllare le Regioni, altro controllare anche le Asl. Sarebbe un’invasione di campo inaccettabile”. E su questa invasione di campo si è consumata la bocciatura del decreto che, tuttavia, ha anche altre ragioni. 

Nel documento prodotto dalla Conferenza si evidenzia come “le risorse per il recupero delle liste d’attesa contenute nella manovra potrebbero già essere state utilizzate dalle Regioni per i propri piani i contenimento dei tempi di attesa e, dunque, il decreto sarebbe privo di qualunque finanziamento”. E questo, a una prima lettura, potrebbe essere proprio il caso del Piemonte (ma non solo) che ha già messo in atto misure per la riduzione delle liste e, ovviamente, impiegato le risorse previste. 

Tra le altre non poche criticità rimarcate dalle Regioni, in maggioranza guidate dal centrodestra e dunque politicamente più vicine al Governo, c’è anche quella che porta gli enti stessi indicare al ministro come “un’efficace attuazione di misure di contenimento dei tempi di attesa non può prescindere dalla disponibilità di congrue risorse sia finanziarie sia di risorse umane”.

Nel documento si legge infatti come “l’assunzione di personale ed il ricorso alle prestazioni aggiuntive, preferibili rispetto all’attività libero professionale in intramoenia, lo svolgimento di attività sanitaria in orario notturno, prefestivo e festivo, gli indispensabili adeguamenti tecnologici e gli aggiornamenti informatici, necessitano di un’adeguata disponibilità di risorse economiche e di personale”.

Una bocciatura che scotta, tanto più se si considera come appena ricordato che la maggioranza delle Regioni è in mano alla stessa coalizione che governa il Paese. Se poi si aggiunge che nel documento viene rimarcato che “il fondo sanitario è già largamente insufficiente”, il fuoco amico è vicino all’alzo zero.

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