INTERVISTA

"La Mecca dei carcerati? Delmastro si penta. In galera c'è più umanità" (che al Governo e in FdI)

Roberto Rosso racconta allo Spiffero i suoi sette mesi agli arresti per voto di scambio. "In cella ogni giorno è uguale all'altro. Leggevo molto e ho ritrovato la fede". E contro l'affollamento "bisogna aumentare la premialità per buona condotta come fanno all'estero"

“La Mecca dei carcerati? Andrea Delmastro, che è stato mio compagno di partito, dovrebbe pentirsi di tanta cattiveria”. A parlare è Roberto Rosso, ex parlamentare e sottosegretario, vicepresidente della Regione Piemonte con Roberto Cota e poi assessore con Alberto Cirio prima della bufera giudiziaria che l’ha travolto sconvolgendo la sua vita: 64 anni a settembre e sette mesi passati in carcere con l’accusa di voto di scambio politico-mafioso. Ha subito una condanna in secondo grado a 4 anni e 4 mesi, ora attende il 26 novembre quando è in calendario l’ultimo pronunciamento della Cassazione sul suo ricorso.

Roberto Rosso, lei in carcere c’è stato. Sta seguendo la polemica di questi giorni?
«Certo. Forse i politici dovrebbero capire quanta umanità c’è in quell’ambiente anche tra i detenuti, anzi soprattutto tra di loro».

Le parole del sottosegretario Delmastro, dirigente di FdI, lo stesso partito in cui lei ha militato fino al giorno dell’arresto, l’hanno turbata?
«Guardi, se fossi in lui mi farei il segno della croce, andrei in chiesa, entrerei in un confessionale e mi pentirei per tanta cattiveria».

Cosa può raccontare dei suoi sette mesi di reclusione?
«Sono stati duri, è normale. Mangi nello stesso posto in cui espleti i tuoi bisogni, lo spazio vitale è ridotto al minimo ma peggio di tutto è l’inedia».  

Come passava le sue giornate?
«Questo è il tema. Ogni giorno è uguale all’altro: gli occhi si aprono alle 5 del mattino perché la luce entra presto nelle celle. Il manganello delle guardie sulle sbarre segna l’inizio della giornata. Da quel momento nulla da fare e poche ore d’aria per una partita a carte o una passeggiata. Ho imparato a giocare a scala quaranta per ingannare la noia».

Le bastavano le carte?
«Alla mattina, dopo l’ora d’aria, avevo ottenuto di poter andare in biblioteca a leggere. Mi ha aiutato».

Cosa manca più di tutto a un detenuto?
«Potevo incontrare la mia famiglia solo mezz’ora a settimana, io poi sono stato alle Vallette quando c’era il Covid quindi a un certo punto anche quella mezz’ora è stata interdetta. Nella mia cella c’era un imprenditore arrestato in Albania e poi trasferito a Torino: mi diceva che lì le condizioni erano migliori perché almeno si poteva chiamare casa».

Il regolamento penitenziario in Italia prevede una telefonata alla settimana…
«E le sembra normale? Sa cosa vuol dire quando sei rinchiuso poter sentire una persona cara, una compagna o un figlio. È vitale, è ossigeno puro e ridurre così i colloqui è una vessazione inutile. In Italia ci sono delle misure afflittive gratuite che peggiorano una situazione già drammatica per via del sovraffollamento».

Ha citato “le guardie”, cioè la polizia penitenziaria. Anche loro denunciano quotidianamente le condizioni sempre più dure negli istituti di pena…
«Ma certo, è una galera anche per loro. Migliorare le condizioni dei detenuti vuol dire rendere il carcere più vivibile anche per loro».

E per il Roberto Rosso politico, quali potrebbero essere le soluzioni?
«Partiamo dalle premialità. Oggi in Italia la buona condotta consente di avere un massimo di tre mesi di sconto all’anno. In Francia sono 4, la Germania prevede una sospensione se hai scontato almeno la metà o i due terzi della pena, a seconda dei casi. In Inghilterra, addirittura, ogni giorno di buona condotta produce uno sconto di un giorno sulla condanna».

Si parla spesso di depenalizzazione dei reati minori. Lei cosa ne pensa?
«Su questo non sono d’accordo. I piccoli reati sono quelli più odiosi perché spesso vengono perpetrati ai danni dei più deboli: gli anziani o le donne».

Come l’ha cambiata il carcere?
«Ha rafforzato la mia fede. Ho sempre creduto, ma durante questa esperienza ho compreso a pieno il significato di una frase come “Non la tua ma la mia volontà sia fatta”. Mi sono chiesto a lungo perché a me, perché non fosse evidente a tutti la mia innocenza».