ECONOMIA DOMESTICA

Quindici "interessati" all'ex Ilva

Si è chiusa la fase preliminare della gara internazionale per il colosso italiano dell'acciaio. Vendita in blocco o spezzatino? All'appello mancano alcuni grandi operatori (americani, canadesi e anche la Nippon Steel). Ecco chi sono i gruppi che hanno manifestato interesse

Questa notte si è chiusa la fase preliminare della gara internazionale per l’ex Ilva con “manifestazioni di interesse da parte di 15 attori internazionali e nazionali, alcuni dei quali hanno presentato una manifestazione per l’intero asset produttivo e altre per alcune parti non complete degli asset”. È quanto ha riferito il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso parlando a margine di un evento a Catania. È la seconda volta che il colosso italiano dell’acciaio, con cuore produttivo a Taranto, viene messo a gara. La prima volta con Arcelor Mittal le cose non andarono bene ora il governo ci riprova. L’ipotesi di una “nazionalizzazione”, tramite Invitalia lo Stato detiene il 32% delle azioni, è stata subito scartata dall’esecutivo Meloni perché troppo onerosa dal punto di vista economico. Due sono le strade: la vendita in blocco o lo “spezzatino”, ipotesi quest’ultima che potrebbe creare qualche problema sul mantenimento dei posti di lavoro e dei rami d’azienda.

All’appello mancano alcuni grandi gruppi – americani e canadesi ma anche la giapponese Nippon Steel (che negli anni ’80 ha lavorato nell’allora Italsider di Stato con i suoi tecnici) – ma, come del resto sottolineato dallo stesso ministro Urso, nulla toglie al fatto che possano subentrare in un secondo momento o in cordata o presentando direttamente un’offerta vincolante. Non c’è nemmeno il gruppo Arvedi così come altri gruppi che hanno visitato gli impianti siderurgici nelle scorse settimane: gli ucraini di Metinvest, gli indiani di Vulcan Steel e Steel Mont, i canadesi di Stelco, passati nel frattempo agli americani di Cleveland Cliff.

La procedura di vendita riguarda di dieci società tra Ilva in amministrazione straordinaria e Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria. Per il ramo principale del gruppo Ilva detiene la proprietà degli impianti mentre Acciaierie è gestore con un contratto di affitto sino al 2030. Dalla vendita degli asset i commissari ritengono di poter ricavare una cifra intorno al miliardo e mezzo di euro. Il piano industriale varato in estate prevede 1,8 miliardi di investimenti. Un miliardo è per il ripristino degli impianti, altri 680 milioni aggiuntivi serviranno per lo sviluppo tecnologico.

“Inizia una fase in cui queste aziende potranno accedere a ulteriori informazioni sulla base delle quali costruire i loro piani industriali, finanziari, ambientali e occupazionali. E nel contempo, ove ci fossero altri interessati potrebbero comunque farlo in cordata con questi. E comunque è sempre possibile che altri accedano ad una manifestazione di interesse”, ha spiegato Urso. «Penso che nei prossimi mesi definiranno piano industriali tra loro concorrenziali e noi sceglieremo quello che sarà migliore per garantire il rilancio della siderurgia nazionale e il percorso green del sito dell’ex Ilva che noi pensiamo possa diventare il più grande sito siderurgico green d’Europa», ha aggiunto. “Abbiamo preso in mano il destino di quello che è il più grande polo siderurgico italiano a fine febbraio, quando vi erano appena materie prime di approvvigionamento per 4 giorni: se non l’avessimo fatto dopo pochi giorni sarebbe stato chiuso anche l’ultimo altoforno per mancanza di materie prime e ciò avrebbe portato al collasso”, ha continuato. “In appena 6 mesi i commissari sotto le nostre indicazioni sono riusciti a risistemare la piena funzionalità di quell'altoforno e a programmare l’apertura di un secondo altoforno nell’ottobre di quest’anno e di un terzo prima nella parte prossimo anno. Nel contempo in questi 6 mesi abbiamo creato le condizioni, anche con il prestito ponte dell’Ue, per una gara internazionale, di cui si è chiusa questa notte la fase preliminare”.

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