SANITÀ & GIUSTIZIA

"Commissariare Città della Salute"

Dopo l'inchiesta con 25 indagati c'è chi chiede l'azzeramento dei vertici. Rivetti (Anaao): "Cosa deve succedere ancora?". L'assessore chiede una verifica sulle liste d'attesa, ma abbassa (fin troppo) i toni. Ipotesi trasferimento del direttore a fine anno

“Cosa aspetta, ancora, la Regione per commissariare Città della Salute?”. Va dritta al punto Chiara Rivetti, segretario regionale di Anaao-Assomed, il principale sindacato dei medici ospedalieri, lo stesso che già un paio di anni fa aveva denunciato un ammanco di circa 7 milioni nei fondi legati alla libera professione, oggetto dell’inchiesta che ha portato ai 25 indagati, tra cui l’attuale direttore generale Giovanni La Valle e quello amministrativo Beatrice Borghese. Una richiesta, quella di Rivetti, che va oltre lo stesso sindacato, dando voce a una platea più vasta che attiene al mondo medico e dell’intera azienda di corso Bramante da cui ormai da tempo arrivano segnali sempre più critici rispetto all’attuale vertice, peraltro mutato nella sua parte sanitaria con il recente arrivo di Emanuele Ciotti in sostituzione di Lorenzo Angelone, trasferitosi a Cuneo lasciandosi alle spalle un clima di tensione.

Quella del commissariamento, tuttavia, è un’eventualità ad oggi non nel novero delle ipotesi che compaiono e scompaiono negli uffici del grattacielo dopo la notizia della chiusura delle indagini e gli avvisi di garanzia che continuano a scuotere la sanità piemontese. Ciò non significa che la situazione, già estremamente complicata e foriera di critiche e interrogativi che da tempo grava sulla più grande azienda ospedaliera del Piemonte, cui si è aggiunto il ciclone giudiziario, non possa portare ad altri provvedimenti. 

Non è un caso se, proprio in queste ore, da più parti si faccia notare come i contratti dei direttori generali assicurino, salvo gravi e circostanziati motivi, l’incarico per tre anni, ma prevedano anche la possibilità per la Regione di trasferire i manager, in costanza di rapporto, da un’azienda a un’altra. I precedenti, in Piemonte, non mancano e la prossima tornata di nomine prevista (salvo proroghe) entro fine anno potrebbe smentire o dare ragione a chi oggi mette tra le possibilità anche quella di un cambio alla guida dell’azienda di corso Bramante, dove La Valle è stato confermato nel dicembre dello scorso anno.

Ad oggi l’approccio della Regione alla vicenda, a dispetto della gravità del quadro ipotizzato dai pubblici ministeri che se confermato non potrebbe che risultare fortemente penalizzante in primis per i pazienti sempre alle prese con i tempi delle liste d’attesa, appare non poco morbido. L’assessore che affida a un anestetico comunicato la scontata “fiducia nell’operato della magistratura” la sua indicazione di “avviare una verifica per accertare che non ci siano riflessi sulla qualità del servizio”, sembra un altro Federico Riboldi rispetto a quello che non più tardi di due settimane fa, avvertiva i manager in adunata: “Io sono diverso dagli altri. Chi lavora con me deve rispondere alle indicazioni che do. Chi non segue le mie indicazioni non può lavorare con me. Anche se uno non è in scadenza non è che è scolpito sulla pietra: se non rispetta i tempi e non taglia le liste d’attesa va a fare altro”.

Ha pure dovuto ingoiare il rospo servito da corso Bramante dove nessuno dei destinatari dell’avviso di garanzia si è premurato di avvertirlo. “Non ci sono stati contatti diretti con gli interessati”, conferma allo Spiffero. “Non sono sorpreso, ne prendo atto”. Dunque Riboldi scopre per altre vie ciò che era partito da Palazzo di Giustizia dove si ipotizza che all’aumento delle visite in intramoenia corrisponda quello dei tempi di attesa e, in un sistema perverso quanto ormai noto, a fronte di tempi sempre più lunghi crescono le visite a pagamento. 

Riboldi adesso dice di voler appurare se non via siano riflessi sulla qualità del servizio, ovviamente mettendo in conto ciò che più che una possibilità, pare qualcosa simile alla certezza. E già ancor prima che venisse alla luce l’inchiesta. Bastava leggere la relazione dell’ispezione del Mef e le raccomandazioni, che come noto se si danno è perché vengono ritenute necessarie e non superate, come qualcuno ha cercato di sostenere. “La riduzione delle liste d’attesa è la linea del Piave”, ribadisce un assessore che, fuor di nota ufficiale, torna alla versione meno edulcorata, mettendo di fatto il dito nella piaga su cui è piovuto il sale dell’indagine. Il problema, tuttavia, è quello di evitare una Caporetto, con pazienti, medici e infermieri in trincea e i generali nelle retrovie a sorseggiare caffè.

Ma dietro questa vicenda e alcuni dei suoi protagonisti c’è anche un’altra battaglia, meno evidente ma non meno rilevante, che riguarda padrinaggi politici più o meno recenti, appoggi cercati e forse trovati con improvvisi cambi di casacca. Non è un mistero che, come tra gli indagati per le precedenti gestioni di Città della Salute ci siano manager in quota al centrodestra come al centrosinistra e che questo spieghi anche molti silenzi delle opposizioni su questa vicenda. Così come non è un segreto la non lontana conversione del direttore generale La Valle, a lungo molto vicino alla Lega, sulla via di Fratelli d’Italia, trovando un fervido e attivo sostenitore della sue ambizioni (si vocifero di Azienda Zero e pure della direzione regionale) nientemeno che in colui che a lungo era dato come il futuro assessore alla Sanità, ovvero l’attuale titolare del Welfare Maurizio Marrone. Così, mentre il sindacato dei camici bianchi alza il tiro chiedendo il commissariamento, al ventiquattresimo piano del grattacielo si abbassano i toni, fors’anche per non finire a Fratelli coltelli.

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