GIUSTIZIA

Veleni alla Procura di Torino, su Spataro e Loreto decide Milano

Sarà la magistratura milanese a stabilire se nell'inchiesta contro il giudice Padalino, indagato per corruzione e poi assolto, l'ex procuratore capo e l'aggiunto occultarono prove che avrebbero potuto scagionare il collega. Gli interrogativi del caso

Sarà la magistratura milanese a stabilire se nell’inchiesta contro il giudice Andrea Padalino, indagato per corruzione e in seguito assolto, l’ex procuratore capo di Torino Armando Spataro, l’aggiunto dell’epoca Anna Maria Loreto e alcuni sostituti, occultarono prove che avrebbero potuto scagionare il collega. Come per il recente caso del processo Eni che ha visto la condanna di Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro per rifiuto di atti d’ufficio, anche in questa vicenda gli inquirenti di Milano potrebbero aprire un procedimento nei confronti delle due toghe. La trasmissione degli atti è stata decisa dalla gip di Brescia, cui Padalino si era rivolto con un esposto nei confronti di un gruppo nutrito di suoi colleghi milanesi (i pm Laura Pedio e Eugenio Fusco, titolari del fascicolo arrivato da Torino) e torinesi (tra cui Sparato e Loreto). Secondo l’accusa Padalino si sarebbe fatto assegnare dal proprio superiore determinati fascicoli di indagine che riguardavano persone da cui avrebbe avuto in cambio vantaggi e utilità. Tesi per quanto “singolare” smentita dalle sentenze.

Al centro della questione c’è un “divieto”, impartito dall’allora procuratore capo Spataro ai pubblici ministeri che stavano indagando sul collega Padalino per i presunti favori nel Palazzo di giustizia di Torino, accuse da cui fu poi completamente assolto. A parlare del “divieto”, come si ricava dalla lettura degli atti, sono stati la stessa Loreto, succeduta a Spataro alla guida della procura subalpina, e tre pubblici ministeri torinesi.

Padalino, oggi giudice al tribunale civile di Vercelli, lamentò, fra l’altro, il mancato invio da parte di Spataro ai pm di Milano dei resoconti di due procuratori aggiunti (Paolo Borgna e Patrizia Caputo) che avrebbero potuto scagionarlo subito, senza passare per il vaglio di un processo. Il gip del tribunale di Brescia, in proposito, riporta ampi stralci di una relazione presentata nel 2023 da Anna Maria Loreto. Se ne ricava che i pm torinesi chiesero più volte nel 2017 di ascoltare Borgna come testimone “vedendosi sempre opporre un netto rifiuto” da parte di Spataro. “In luogo della testimonianza – è quanto afferma Loreto – il dottor Spataro si determinò a chiedere al dottor Borgna di redigere una relazione assicurandolo, su sua richiesta, che non sarebbe mai entrata nel fascicolo”.

Il documento, che non conteneva accuse contro Padalino, venne fatto leggere ai tre pm torinesi che stavano lavorando al caso (con l’“espresso divieto” di inserirlo negli atti di indagine). Poi, una volta classificato “a protocollo riservato”, fu chiuso in cassaforte. Dopo il pensionamento di Spataro fu lo stesso Borgna, diventato reggente della procura, a trasmetterlo alla procura di Milano il 7 marzo 2019. Per questo episodio i pm di Brescia hanno chiesto l’archiviazione non ravvisando illeciti di carattere penale. Il gip del tribunale bresciano non è entrato nel merito della questione e si è limitato ad osservare che, non essendo interessati a nessun titolo magistrati milanesi, la questione non è di sua competenza.

Ma è il quadro che emerge nello sviluppo della vicenda – come annota oggi sul Riformista Tiziana Maiolo – a destare più di una perplessità, allungando ombre sui rapporti interni alla magistratura, non solo torinese. Perché Andrea Padalino fu un giovanissimo gip di Mani Pulite 30 anni fa a Milano, mentre al quarto piano dello stesso palazzo di giustizia il pm Spataro era il numero uno nelle inchieste sulla criminalità e il terrorismo. E nella querelle si ritrovano anche due procuratori milanesi come Fusco e Pedio (oggi capo a Lodi), accusati dall’esposto di Padalino di “inerzia” nelle indagini, proprio come diceva un altro pm dello stesso ufficio, Paolo Storari, relativamente all’inchiesta sulla famosa Loggia Ungheria. E ritroviamo la magistratura bresciana, la stessa chiamata a giudicare, e poi condannare, Piercamillo Davigo e Fabio De Pasquale.

print_icon