Vizi e virtù della città metropolitana

È certo che questa sia la via più giusta verso la razionalizzazione, la semplificazione, l’efficienza del riordino del sistema? Nel dibattito attuale, per superare opzioni locali e “personalizzate”, occorre ricercare criteri generali

Il ciclico riemergere all’attenzione dei media del tema della città metropolitana dimostra come questa rappresenti un oggetto misterioso ai più e temuto come minaccia dalle autonomie locali, pur riguardando direttamente circa 1/3 della popolazione nazionale. Inutile ricordare come se ne parli da più di 20 anni - ma comunque senza esiti - e come l’ultimo disegno di legge, in esame al Senato, appaia una sorta di “forzatura” dettata da contingenze di crisi, che sceglie la Provincia come ente da sacrificare e impone “dall’alto” una riorganizzazione unificata su aree disomogenee, dando contraddittoriamente al nuovo ente maggiori competenze ma dubbia rappresentanza territoriale e democratica.

Torino più di altri patisce una realtà istituzionale difficile: a fronte di un numero di abitanti inferiore a Roma, Milano, Napoli e superiore alle altre città e province, la città metropolitana di Torino è la prima per estensione, diffusione e diversificazione del territorio e di gran lunga quella con un maggior numero di Comuni. Peraltro è presente nel ddl la possibilità riconosciuta ai Comuni di non aderire, che comporta di conseguenza una Città Metropolitana di dimensioni inferiori/diverse dalla Provincia, rendendo di fatto i Comuni non associati marginali nel governo del territorio e/o subalterni a uno statuto comunque dettato dal capoluogo. Ovvero i territori forti restano forti e quelli deboli restano tali e potrebbe derivare un livello di governo in più (es. Comune di Torino, Città Metropolitana di Torino, Provincia residua di Torino, Regione Piemonte).

È certo che questa sia la via più giusta verso la razionalizzazione, la semplificazione, l’efficienza del riordino del sistema? Il nuovo Governo potrebbe rimettere in discussione l’attuale ddl? Nel dibattito attuale, per superare opzioni locali e “personalizzate”, occorre ricercare criteri generali, utilizzando lo strumento fondamentale del redigendo Statuto, quali: prevalenza dell’interesse pubblico; rappresentanza a pari titolo delle aree forti della ex provincia; autonomia locale, non per semplice e acritico accorpamento, bensì per costruzione progressiva e “dal basso”; governo del territorio riadeguato all’estensione e alle nuove complessità (società, cultura, ambiente, territorio, trasformazioni urbane, patrimonio,...); senso di cittadinanza dopo tanti anni di “padroni in casa propria” ovvero garantire riguardo ai bisogni dei cittadini, rispetto delle vocazioni di destinazione, di immagine, di ruolo dei luoghi che hanno dignità di valore culturale, sociale ed urbano, e una partecipazione, intesa nella accezione più nobile di integrazione tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta.

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