Virus, libertà e mafie

La pandemia che ha colpito il Pianeta sta cambiando i nostri usi e costumi, e sono proprio le attività più banali a mancarci; è evidente che l’Uomo apprezza quello che ha soprattutto nel momento in cui viene a mancare! Stupisce che proprio in questa “circostanza” in cui, per ragioni “sanitarie” di contenimento dell’epidemia, la nostra idea di libertà è stata “violata”, alcune categorie professionali, poche per la verità, al posto di concentrarsi e preoccuparsi per trovare, o almeno immaginare, soluzioni che, passata l’epidemia, diano un reddito, un lavoro al numero enorme di disoccupati da Coronavirus, molti dei quali inevitabilmente cadranno nella povertà, si preoccupano di promuovere leggi severe da far rispettare con la forza delle punizioni considerandole indispensabili per ottenere il benessere dei cittadini.

Venerdì mattina un quotidiano torinese ha dato spazio ad un articolo a tutta pagina, scritto dal dottor Pignatone, ex procuratore della Repubblica di Roma, con il titolo: “Così l’Italia del dopo virus potrà salvare le aziende a rischio di infiltrazione mafiose”. È comprensibile che un “tutore” dell’ordine possa lodare l’introduzione di leggi quali la “Rognoni-La Torre”, che permette la confisca o il sequestro di beni anche solo sulla base di un giudizio di pericolosità sociale senza prima ottenere una sentenza penale di condanna dell’indagato da parte di un giudice (ricordo che questa legge fu approvata il 13 settembre 1982 pochi giorni dopo l’omicidio del generale Dalla Chiesa, quindi sotto il “peso” emotivo di questo atroce attentato); è comprensibile, e anche condivisibile, che molti cittadini ritengano che sia necessario, per contenere l’azione della criminalità organizzata, esacerbare le leggi onde renderle applicabili a soggetti anche solo per “sospetto” di vicinanza ai fenomeni mafiosi.

Ma quale deve essere il limite? Ci deve essere un limite! Quando un chirurgo in sala operatoria, avendo aperto l’addome ad un paziente, trova che il tumore maligno (le mafie) ha invaso organi importanti e che per estirparlo definitivamente deve mettere a rischio elevato la vita dello stesso paziente, cosa deve fare? Operare senza indugio estirpando il cancro con il rischio che il paziente sia guarito dal cancro ma non si risvegli più? oppure fare un intervento più “light” (garantista) tenendo in vita il paziente con la possibilità che dopo qualche anno il tumore si ripresenti? L’eterno quesito sul quale si dibatte da sempre l’Uomo è oggi ancora cogente…

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