Orfani di Agnelli (e di classe dirigente)

Caro Direttore,
il bel servizio televisivo su Gianni Agnelli a vent’anni dalla scomparsa ha intristito i torinesi, nati qui o meno, che amano questa città, i suoi valori e le sue realizzazioni. So bene che una parte della città non lo amava perché grande capo della Juve: molti che non acquistavano l’auto Fiat per non aiutare indirettamente la Juve. Io sono milanista non fazioso, che ha gioito per lo scudetto di Radice o che si è emozionato al vecchio Stadio comunale la sera di un Juve-Real Madrid, ho solo acquistato auto Fiat perché invece l’ho sempre ritenuta il maggiore motore economico di questa città che consente oggi a oltre centomila torinesi ex operai Fiat di avere una pensione decente dopo aver fatto studiare i figli e dopo aver acquistato casa, una cosa che i ragazzi di oggi, che vanno avanti a assunzioni a tempo determinato molte volte di meno di un mese, forse non avranno. Gianni Agnelli ha fatto errori, il più grave l’aver mandato a casa l’ing. Ghidella, ma nel 2003 quando morì, il nostro pil pro-capite era ancora 120 sui 100 della media europea, oggi è sceso a 100. L’auto ha reso capitale Torino, con ricadute nel Centro ricerche Fiat e sul Politecnico enormi.

Nel servizio tv tutti, da Tronchetti Proverà a John Elkann, hanno sottolineato che l’Avvocato non pensò mai di abbandonare, neanche negli anni difficilissimi del terrorismo, Torino, vendendo l’azienda per godersi una ricca pensione.

Purtroppo, Torino, dai sindaci di sinistra che si vantavano e si vantano di aver trasformato la città da one company town a città dellìinnovazione e non hanno fatto nulla per difendere il settore auto come invece hanno fatto i tedeschi e francesi, ha lasciato andare un grande motore di crescita senza sostituirlo con altri di pari peso e importanza. Oggi Torino non è più la capitale dell’auto, non riesce ad attrarre investimenti o iniziative, rischia di perdere il Centro di produzione della Rai, non riesce ad agguantare il Centro per l’Intelligenza artificiale e non dà prospettive ai ragazzi che qui si laureano costringendoli a cercare lavoro fuori città e sovente fuori del Paese.

Pensa che mentre Cavour iniziò i lavori del Tunnel del Frejus tre mesi dopo la approvazione del Parlamento qui i lavori della Linea 2 della Metro se va bene inizieranno nel 2025 e termineranno nel 2031, oltre trent’anni dopo la costruzione della Linea 1. La Fiera di Parma si allea con la Fiera di Milano per attrarre imprenditori e investimenti qui abbiamo lasciato andare fiere internazionali prestigiose come il Salone dell’auto e della Tecnica.

Il prof. De Rita ha scritto che la bassa crescita deriva dalla mediocrità sempre più vasta della classe dirigente italiana, a tutti i livelli: politici, imprenditoriali e sociali. Ritorniamo a studiare Cavour, il più grande statista italiano, che in tredici anni non solo uni l’Italia ma le diede le gambe per uscire dalla povertà puntando sulle infrastrutture, sulla politica industriale, sui canali irrigui, sulla politica del mare. Cavour aveva una capacità trascinatrice formidabile, non convinse solo la contessa di Castiglione a diventare amica dell’alleato francese, convinse imprenditori a dar vita alla Ansaldo, diede le concessioni a Rubattino per collegare le Isole, convinse i capitali inglesi a finanziare il primo traforo alpino al mondo. Ritorniamo a studiare i santi sociali o i grandi geni di questa città, da Galileo Ferraris a Gualino sino agli autori delle ultime grandi innovazioni, dai computer al common rail sino a Satispay.

Dobbiamo spingere Torino a uscire dalla mediocrità se vogliamo ritornare a giocare un ruolo a Roma, in Europa, nella Tav Valley e nell’imprenditoria mondiale. Ecco perché oltre a battermi per accelerare i lavori della Tav, a riprendere il tema della Tangenziale Est e della quarta corsia e per rilanciare la logistica piemontese, mi batto per difendere il settore auto da una assurda decisione europea.

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