Il lato oscuro dell'uomo

Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, la ragazza sequestrata con l’inganno e uccisa da Filippo Turetta, il coetaneo ex fidanzato e compagno di studi universitari, ha rilasciato sui media le seguenti parole: “In questi giorni molte persone hanno additato Filippo Turetta come un mostro, come un malato. Ma lui mostro non è, perché un mostro è l’eccezione della società, mostro è quello che esce dai canoni normali, ma lui è un figlio sano della società patriarcale che è pregna della cultura dello stupro. (…) Mi viene detto spesso che non tutti gli uomini sono cattivi: è vero, ma tutti gli uomini beneficiano di questa struttura sociale”. Elena è la voce di chi è irrimediabilmente distrutto dal dolore per aver perso tragicamente la sorella assassinata a coltellate: è comprensibile la sua rabbia verso quella specie animale, l’uomo che ha causato a lei ed alla sua famiglia tanto dolore.

Credo che questa sia una reazione totalmente umana, una reazione che aiuta a lenire il dolore, ma non ritengo che queste affermazioni fatte sotto l’effetto del dolore possano essere utili a comprendere appieno le cause che hanno condotto al tragico evento. Cercando di ricostruire i fatti attraverso la rappresentazione delle Reti di Petri (modello grafo-matematico utilizzato per rappresentare e studiare sistemi concorrenti ad eventi discreti), ho rilevato, in funzione delle notizie a nostra disposizione, alcuni punti di attenzione in cui con scelte diverse forse si sarebbe cambiato il corso della storia che ha portato alla morte di Giulia.

1) L’Ansa ha pubblicato, tramite “Chi l’ha visto” e Tg1, un audio che Giulia ha inviato alle amiche 39 giorni prima della sua morte in cui confessa: "Mi sento in una situazione in cui vorrei che sparisse, vorrei non avere più contatti con lui (…) lui mi viene a dire cose del tipo che è super-depresso, che ha smesso di mangiare, che passa le giornate a guardare il soffitto, che pensa solo ad ammazzarsi, che vorrebbe morire. (…) Non so come sparire, nel senso che vorrei fortemente sparire dalla sua vita, ma non so come farlo perché mi sento in colpa, perché ho troppa paura che possa farsi male in qualche modo". Se ascoltando il video, le amiche avessero avuto una reazione più pro-attiva, Giulia avrebbe avuto maggior coraggio nel troncare definitivamente la relazione?

2) Filippo, continuando nella sua autocommiserazione, ha invitato Giulia ad andare a cenare con lui in un centro commerciale. Se Giulia avesse rifiutato rimanendo a casa?

3) Dopo cena, fuori dall’auto presso il condominio di Giulia, i due ragazzi hanno litigato e Filippo ha percosso la ragazza. Un testimone, allarmato, ha chiamato i carabinieri per dare l’allarme ma, non essendo in grado di indicare la targa dell’automobile, non c’è stato alcun intervento. Tenendo conto che Giulia è stata poi uccisa a circa 6 km da casa, se le forze dell’ordine fossero comunque intervenute, avrebbero neutralizzato il verificarsi del tragico delitto?

Come di norma, non è mai un solo fattore a determinare l’esito di un fatto: il principale è Filippo che “perde il controllo”, gli abilitanti sono quelli descritti precedentemente. È vero che normalmente sono i maschi ad essere antropologicamente più soggetti ad atteggiamenti padronali-possessivi nei riguardi delle compagne ma esistono anche casi in cui i ruoli sono scambiati. A tal proposito ricordo, per esempio, l'omicidio avvenuto il 12 giugno del 2021 in cui una donna ha accoltellato per 14 volte il marito che voleva divorziare. Anche in questo caso si parlò di reazione dolorosa al desiderio di porre fine ad una relazione amorosa. È quindi utile nelle scuole promuovere piani formativi per indurre i ragazzi di entrambi i sessi a non essere possessivi nei confronti delle persone che ritengono di amare e nello stesso tempo è indispensabile insegnare loro a riconoscere i tratti premonitori pericolosi dei loro compagni, per evitare di correre pericoli che possono rivelarsi fatali. Quando Elena afferma che Filippo non è un mostro, non è malato ma un figlio sano della società patriarcale, bisogna essere cauti.

Sul vocabolario “Oxford Languages” viene definito “sano” chi “gode della piena efficienza funzionale del proprio organismo, identificabile nell’immunità da malattie, lesioni, alterazioni, disturbi di carattere fisico o psichico” e “malato” chi “sta male in salute, che è colpito da malattia, che presenta i sintomi di una inconsueta e preoccupante mancanza di equilibrio; turbato, sconvolto, squilibrato, pazzo”. Non nego che il comportamento di Filippo sia stato anche influenzato da una cultura patriarcale, nata circa 6000 anni fa e ancora oggi presente nella nostra società, ma per fare prevenzione è necessario capire l’origine del comportamento di Filippo, e di tutti coloro che commettono atti simili, utilizzando metodi scientifici attinenti alla neuro-scienza.

La neuro-scienza, infatti, ci dice che esiste, per esempio, una forte associazione tra la psicopatia e le condotte aggressive. La psicopatia è un disturbo della personalità caratterizzato da insensibilità, sfruttamento inter-personale, stile di vita impulsivo e irresponsabile, nonché da un pattern (il registro di emozioni che si attivano in modo automatico e ricorrente al verificarsi di una determinata situazione) di tendenze antisociali precoci, croniche e versatili. Lo studio della psicopatia si è particolarmente concentrato sul funzionamento dell’amigdala, cioè il complesso nucleare a forma di “mandorla” situato nella parte dorsomediale del lobo temporale del cervello e che gestisce le emozioni. Il comportamento dello psicopatico è razionale, effettua scelte sapendo quello che fa, persegue strategie premeditate che portano ad un preciso scopo. Gli psicopatici sono affascinanti, manipolatori, e, mancando completamente di empatia e di sentimenti altruistici, prendono e fanno egoisticamente ciò che piace loro, violando norme sociali e aspettative, senza il minimo senso di colpa o rimorso. Le relazioni degli psicopatici sono artificiali, superficiali, pensate solo per il proprio beneficio. Pur essendo consapevoli di ferire, non provano pietà. Gli psicopatici possono, a volte, rappresentare un pericolo per gli altri, poiché possono essere violenti e di difficile soluzione, e quindi è indispensabile insegnare quali possono essere i segnali utili al loro riconoscimento e quali i comportamenti da adottare in loro presenza.

Lo psichiatra prof. Alessandro Meluzzi intervenendo sul tema afferma: “La sindrome del maschio fragile caratterizza la psicologia di quelle figure maschili che manifestano la loro violenza non tanto in un’aggressività manifesta, ma in una terribile paura del non controllo, dell’abbandono, della separazione, della perdita. Dal punto di vista epidemiologico e statistico, l’80% o anche di più dei femminicidi è fatto da maschi abbandonati che non sopportano e non metabolizzano l’idea della perdita e della separazione, perché hanno investito talmente tanta della loro energia psichica e dei loro vissuti su quel rapporto che l’idea di essere abbandonati non è metabolizzata, non è realizzabile. È devastante! quindi la devastazione, l’oggetto del desiderio, che diventa anche un elemento di stabilizzazione della vita, può diventare lo scopo di una distruzione rispetto alla quale una repressione violenta di chi non riesce a immaginare, a pensarla la vita, se non all’interno di quel rapporto, può diventare uno stimolo a distruggere quello che è stato oggetto del desiderio e dell’amore e che diventa la sindrome di una mamma cattiva che ti ha abbandonato”.

Per quanto attiene la sfera giurisprudenziale, mi auguro che la Giustizia segua un percorso virtuoso prendendo ad esempio l’azione intrapresa dalla Corte d’Assise d’Appello di Trieste che ha emesso la sentenza n. 5/2009 del 18/09/2009 dopo avere effettuato accertamenti neuro-medici, segnando un precedente. L’obiettivo era determinare il grado di incapacità di intendere e di volere dell’imputato tenendo in considerazione i risultati emersi da indagini di genetica molecolare e da tecniche neuropsicologiche. La genetica molecolare studia l’influenza del profilo genetico sul comportamento degli individui. Le neuroscienze cognitive studiano la relazione tra sintomi psicopatologici ed alterazioni dell’attività cerebrale. Il caso riguardava l’omicidio commesso da un algerino che ha accoltellato un colombiano ritenendolo erroneamente responsabile di un’aggressione subita. Certo, non si trattava di un femminicidio, ma di un omicidio commesso da una persona che la perizia ha dimostrato avere problemi psicopatici. Le indagini svolte dai periti hanno restituito un quadro di parziale incapacità d’intendere e di volere. Le tecniche utilizzate, ovvero i diversi test neuropsicologici, la risonanza magnetica cerebrale e l’analisi del genotipo, hanno condotto ad un esito che la Corte, non solo ha recepito in maniera puntuale, ma ha ritenuto di dover far proprio. Un’alterazione fisica del cervello non può essere incolpata ma deve essere curata e sorvegliata in ambienti adeguati e protetti che non possono essere le attuali carceri.

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