Liste d'attesa, botta e risposta

Sono un cardiologo dell’Asl Città di Torino. Stefano Rizzi in articolo sulla libera professione afferma che la libera professione “rappresenta una delle cause principali dei tempi ancora troppo lunghi che gravano sulle liste d’attesa”. Questa è un’affermazione arbitraria, priva di alcun fondamento. La percezione di noi sanitari è che il problema delle liste d’attesa dipenda da un numero sproporzionato di richieste inappropriate (nella mia casistica almeno 6-7 visite su 10 sono assolutamente inutili). Sarebbe anche stato utile menzionare il fatto che tutto il personale sanitario ha molte ore di straordinario non retribuito, ore di lavoro altamente qualificato regalate all’Asl. Continuate pure quest’opera di disinformazione e di condanna dei sanitari, quando i privati avranno cannibalizzato la sanità pubblica ci sarà da ridere...

Risponde Stefano Rizzi:

Egregio dottor Sillano, nella sua lettera, legittimamente ma non indiscutibilmente, lei sostiene che ricondurre a una non al meglio governata gestione dell’intramoenia una delle cause principali dei tempi ancora troppo lunghi delle liste d’attesa è affermazione arbitraria e priva di alcun fondamento. Rispetto, pur non condividendo la sua opinione, non certo verità a prova del contrario. Tant’è che, come lei ben saprà, fin dall’istituzione dell’intramoenia il legislatore introdusse una serie di possibili (anche se di fatto mai attuati) interventi limitativi della libera professione nel caso in cui le prestazioni fornite dal servizio sanitario nazionale eccedessero nei tempi. Il legame tra libera professione e tempi di attesa trova, ulteriore confermato anche nelle recentissime misure assunte del ministero della Salute. Pure queste senza alcun fondamento? Quanto alla da lei asserita “disinformazione”, la ritengo affermazione che non meriti neppure risposta. La sola risposta da dare, ciascuno per quanto gli compete, è ai pazienti che ancora sono costretti a pagare ciò che, invece, sarebbe loro dovuto nei tempi previsti. E lo fanno, sempre più spesso, rivolgendosi ai medici che, legittimamente, operano anche in intramoenia, ma altrettanto spesso non entro le mura dell’ospedale come previsto, ma in quelle strutture dei privati che lei preconizza cannibalizzeranno la sanità pubblica. E, già ora, non c’è nulla da ridere. (s.r.)

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