Caselli lascia, via alla successione
15:52 Lunedì 11 Novembre 2013 0Il procuratore capo di Torino annuncia che andrà in pensione a fine anno. Ora il Csm aprirà il bando. In corsa il vice Ausiello. Tra i papabili il milanese Spataro e il numero uno di Novara Saluzzo. Ma non sono escluse sorprese dell'ultima ora (la Boccassini?)
Il procuratore capo di Torino Gian Carlo Caselli andrà in pensione il 28 dicembre. La decisione, presa qualche mese fa e già nota negli ambienti giudiziari, è stata ufficializzata oggi dal magistrato in una mail indirizzata ai colleghi del tribunale subalpino. «Ecco una notizia che non avrei mai voluto comunicarvi – si legge – ma tant’è: ormai ci siamo. Mi spiace lasciare il lavoro in Procura, ma ancora di più lasciare tanti amici (credetemi non è frase fatta!), cioè voi tutti che (ciascuno nel suo ruolo) avete fortemente contribuito – in maniera decisiva – a fare del nostro ufficio un sistema funzionante a livelli di eccellenza». Caselli, classe 1939, a giugno dello scorso anno aveva ottenuto la proroga di due anni del suo mandato che, come per tutti i magistrati, si conclude a 75 anni. Già allora fu una decisione sofferta, combattura tra l'amore per la toga e il desiderio di dedicarsi agli affetti famigliari, dopo una vita così intensa che l'ha portato fino in Sicilia,
A questo punto spetta al Consiglio Superiore della Magistratura aprire la procedura pubblicando il bando per la successione. Da mesi peraltro circolano voci sui possibili papabili a un incarico di prestigio in un ufficio giudiziario di primo piano. Tra gli aspiranti compaiono il suo attuale vice e responsabile del pool torinese della Direzione Distrettuale Antimafia Sandro Ausiello, il procuratore capo di Novara Francesco Saluzzo, i magistrati milanese Armando Spataro e Ilda Boccassini.
Dal 15 settembre 2008 procuratore capo a Torino, dove prima era procuratore generale presso la Corte d’Appello, Caselli è sposato con Laura, insegnante di matematica. Due figli, Paolo (nato nel 71) e Stefano (nato nel 75). Alessandrino di nascita ma torinese a tutti gli effetti, ha conseguito la maturità classica al liceo salesiano di Valsalice e si è laureato nel 1964 in Giurisprudenza all’Ateneo subalpino. Dopo aver vinto il concorso in magistratura (1967), viene assegnato alle funzioni di giudice istruttore a Torino. «Avevo 29 anni nel 68, ma non “l’ho fatto”. Sono sempre stato un secchione, a scuola e sul lavoro, e in quell’epoca cercavo di imparare presto e bene il mestiere di magistrato», ha ricordato in una recente biografia. Nel 1973 comincia a istruire processi per fatti di terrorismo: dal sequestro di Bruno Labate, segretario provinciale della Cisnal, al rapimento del capo del personale Fiat Ettore Amerio, a quello di Mario Sossi, sostituto procuratore a Genova. Sul suo tavolo sono passati i fatti più tragici di quegli anni non a caso passati alla storia come “di piombo”. Prima Linea, le Brigate Rosse, la vicenda del figlio di Donat-Cattin.
Negli ultimi anni come giudice istruttore a Torino ha svolto importanti inchieste in materia di crimine organizzato: traffico di stupefacenti e ramificazioni torinesi della ’ndrangheta calabrese. Nel 1986 è eletto consigliere del Csm nelle liste di Magistratura democratica, la corrente di sinistra, recentemente abbandonata in polemica con i nuovi vertici. Richiamato in ruolo nel 90 viene assegnato alla presidenza della Prima sezione della Corte d’Assise di Torino. Nel 92 si candida per l’incarico di procuratore capo di Palermo, e viene preferito, tra gli altri, a Piero Grasso (che allora lavorava al ministero di Grazia e giustizia, guardasigilli Claudio Martelli). Arriva a Palermo il 15 gennaio 1993, giorno dell’arresto di Totò Riina. Caselli, pochi mesi dopo (notte del 23 ottobre 1993), raccoglie la prima confessione relativa alla strage di Capaci, da parte di Santino Di Matteo, tra gli esecutori materiali. Rimane a capo della Procura di Palermo per sei anni e mezzo. Valore dei beni mafiosi sequestrati sotto la sua direzione: oltre diecimila miliardi di lire; persone indagate: 89.655 (di cui 8.826 per fatti di mafia); rinviati a giudizio: 23.850 imputati (di cui 3238 per mafia). Ergastoli inflitti in processi avviati in quel periodo: 647. Tra i latitanti arrestati: Leoluca Bagarella, Giovanni ed Enzo Brusca, Pietro Aglieri ecc., «per numero e “caratura” criminale senza precedenti» (dal curriculum agli atti del Csm). «Dei miei anni a Palermo si ricordano soprattutto i processi a imputati “eccellenti”». Cioè Corrado Carnevale, Marcello Dell’Utri, Bruno Contrada, Calogero Mannino, soprattutto Giulio Andreotti. Nel 1999 lascia la Procura di Palermo (gli succede Piero Grasso). Va a dirigere il DAP (Dipartimento amministrazione penitenziaria), fino al primo marzo 2001, quando viene designato a rappresentare l’Italia in Eurojust (coordina l’azione penale dei paesi membri dell’Unione Europea). Nel 2002 viene nominato procuratore generale a Torino.
Nel 2004 il governo Berlusconi, pur di scongiurare la sua nomina a procuratore nazionale antimafia, predispone una norma ad hoc che lo esclude, aprendo le porte all’attuale presidente del senato Grasso. «Sono l’unico magistrato italiano al quale il Parlamento ha dedicato espressamente una legge. Una legge contra personam che mi ha espropriato di un diritto: quello di concorrere, alla pari con altri colleghi, alla carica di Procuratore nazionale antimafia». Toga rossa è il marchio che si è portato dietro in tutta la sua vita: «Mi hanno definito “toga rossa”, comunista”, ma in altra epoca – durante gli anni di Piombo – mi sono preso anche del “fascista”. Eppure nel frattempo non sono cambiato». Grande tifoso del Toro: «Mio padre aveva un amico comunista, operaio come lui, uno che girava con l’Unità in tasca quando una certa connotazione era sgradita a molti, era per molti pesante. È lui che mi ha portato a vedere le prime partite dei granata, è lui che mi ha fatto diventare del Toro: perché vedendo lui, tifosissimo, associavo l’idea della squadra in quei calcisticamente difficili suoi anni Cinquanta alla lotta per sopravvivere, alla voglia e spesso alla necessità di essere contro, allo spirito comunque trasgressivo».