Un brutto film già visto

La recente contestazione No Tav indirizzata al Movimento 5 Stelle torinese ha avuto un grande risalto sui media locali e nazionali. Un giornale ha addirittura pubblicato l’intervista integrale, senza veli e censure, a uno dei leader storici della valle di Susa. Alberto Perino infatti ha rilasciato le sue dichiarazioni a ridosso della protesta organizzata alla festa cittadina dei militanti pentastellati, senza celare affatto la sua delusione verso la politica sin qui attuata dal premier Conte.

Il Bovè italiano non si è risparmiato nella critica all’esecutivo giallo-verde, rimarcando come il Movimento No Tav non intendeva sostenere elettoralmenteuna squadra di deputati e senatori affinché questi andassero a Roma a “farsi prendere per il fondoschiena (quest’ultimo termine nell’intervista era più diretto)”, e inoltre evidenziando come in Val di Susa i residenti si siano “rotti le scatole (anche in questo caso ho sostituito il vocabolo espresso dal leader No Tav, poiché eccessivamente anatomico)” della continua assenza di risposte alle loro istanze da parte del ministro Danilo Toninelli.

La cronaca cittadina non hai mai dato un tale risalto alle ragioni dei valsusini, novità questa che ha il sapore della strumentalizzazione politica in chiave marcatamente anti Appendino. Scelta giornalistica comunque legittimata dalla sconcertante disattenzione del governo nei confronti di quell’elettorato in lotta, sin dagli anni ’90, contro la linea ad alta velocità.

Non posso scordare quando nel marzo 2010, all’indomani della mia ricandidatura al Consiglio regionale piemontese, proprio Perino mi disse, appoggiandomi la mano sulla spalla, che malgrado l’impegno che avevo speso in Valle (insieme al Partito della Rifondazione Comunista) il Movimento aveva deciso di sostenere elettoralmente Grillo. Una scelta maturata nella convinzione che il nuovo raggruppamento politico non avrebbe mai accettato alcuna mediazione riguardo l’opera.

A quanto pare invece la Storia si ripete (fenomeno a cui non credo appieno) e gli eletti sotto le bandiere 5 Stelle stanno vivendo lo stesso dramma politico che visse Rifondazione Comunista negli anni della giunta guidata da Mercedes Bresso. All’epoca il raggruppamento di Bertinotti aveva deciso di focalizzare la sua attenzione sulla difesa della sanità pubblica regionale, cosa che realizzò tramite due assessori (Valpreda prima e Artesio dopo), impegnandosi però alla mediazione in merito a tutti quei punti ritenuti secondari rispetto all’assetto sanitario.

Andare sul territorio a Bussoleno, come a Venaus, ponendosi al fianco dei militanti contro l’alta velocità e poi in aula consiliare dover trattare al ribasso sulla Torino-Lione, con la maggioranza di cui si è parte minoritaria, significa spalancare una porta sulla schizofrenia sia politica che umana.

L’impressione, osservando i deputati pentastellati, è quella di rivivere lo stesso shock di cui furono vittime i militanti e i rappresentanti istituzionali di Rifondazione durante il quinquennio 2005-2010, seppur in una situazione politica molto differente rispetto all’attuale: il Prc, al contrario del M5s, non presiedeva il Parlamento a Roma con un corposo gruppo di deputati e numerosi ruoli chiave all’interno del Consiglio dei Ministri.

Le “Rivoluzioni” in Italia sono sempre annunciate e mai realizzate davvero, al contrario di quanto avvenuto per le opzioni conservatrici e reazionarie che godono di perenne buona salute nel nostro Paese, nonché per l’instancabile rivoluzione neoliberista sempre in atto e sulla cresta dell’onda. Invero non esiste ostacolo legislativo che impedisca ai detentori di ville e gestori di gioiellerie di sparare impunemente a chi acceda alle loro proprietà in modo sospetto, difesa-omicidio preventivo, così come nulla impedisce di chiudere le frontiere nazionali nei confronti di chiunque scappi dalle guerre (sempre iniziate dall’Occidente) o dai crampi della fame. Specularmente a quanto si può fare in Parlamento è altresì impossibile mettere in dubbio le grandi opere, così come tutelare e ripristinare la difesa dei diritti in capo ai lavoratori.

Chiunque sieda a Palazzo Chigi può sicuramente arretrare rispetto ai progetti sociali progressisti, arrendersi sia sul tema “Beni comuni” che sulla gestione diretta dei servizi da parte degli enti pubblici. Il premier di turno può serenamente cristallizzare tutti i “Tradimenti” nei confronti dei principi sanciti dalla Carta costituzionale, avviandosi su un terreno perso per sempre dalla collettività: area pronta a trasformarsi repentinamente in vuoto incolmabile.

Le privatizzazioni selvagge e lo scempio apparentemente incontenibile operato a danno dei beni ambientali sono fenomeni che non hanno avversari degni di rispetto sulla nostra penisola. Lo stesso elettorato fatica a considerare e valutare i costi derivanti dalle cessione ai privati di servizi e beni comuni.  

Donare agli imprenditori, poiché di questo trattasi, porzioni di welfare, piscine oppure spiagge, permette al Pubblico di risparmiare (secondo quanto scritto nei relativi comunicati stampa) tagliando posti di lavoro, ma celando una realtà fatta di conseguenti costi addossati all’intera comunità: offerta di impiego precario da parte del privato concessionario (in sostituzione del lavoro più garantito presso gli enti concedenti) ed esborsi ulteriori gravanti su coloro che necessitano di assistenza come semplicemente di qualche orasul bagnasciuga.

La stessa visione di un’Europa invadente quanto ingiusta è frutto di decenni incentrati su scelte politiche neoliberali che potrebbero essere ribaltate grazie a nuove proposte di stampo sociale. Purtroppo ancora una volta il progetto governativo è semplice quanto cristallizzante: annientare, distruggere il vecchio continente nel nome di nazionalismi mai realmente tramontati.

François Mitterand, presidente della Repubblica francese negli anni 80, riuscì in poco tempo a mandare in pensione la ghigliottina, eliminando così la pena di morte dopo decenni di discussioni e rinunce, e a nazionalizzare le spiagge strappandole a ricchi parigini e attori famosi. Sono solo alcune tra le sue azioni politiche che scatenarono la dura reazione dei poteri economici e finanziari ma che lui incurante di tutto portò tenacemente a buon fine sorretto dai suoi militanti.

Aspettarsi rivoluzioni “buone” oggi è speranza illusoria quanto vana. L’assenza di statisti tra coloro che siedono nelle Istituzioni è palpabile mentre invece spicca l’abbondanza di dilettanti mandati allo sbaraglio da chi annuncia grandi cambiamenti: hobbisti della politica totalmente incapaci di muovere un solo passo nella “giusta direzione” (come cantava Eugenio Finardi).

L’epilogo è facilmente immaginabile: ennesimo senso di inganno maturato tra le file dell’elettorato “progressista” e susseguente crollo del Movimento 5 Stelle a beneficio delle compaginineofasciste. Un destino forse segnato ma non ancora scritto sulla pietra con caratteri indelebili. Non ancora.

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