GRANA PADANA

La Lega può fare a meno della Tav

Con Salvini il partito ha cambiato pelle e mutato la propria base elettorale: meno ceto produttivo del Nord e più strati popolari sensibili ai temi di sicurezza e immigrazione. Ecco perché la pantomima sulla Torino-Lione inciderà poco nelle urne di maggio

Il lusso di non perdere troppi voti sulla Tav. È quello che può concedersi la Lega dopo la mozione votata ieri alla Camera che congela fin dopo le europee la decisione sulla Torino-Lione e apre la strada a una versione ridotta dell’opera. Lo può fare pur essendo bersagliata non solo e non tanto dalle opposizioni, ma soprattutto da quel ceto produttivo pronto a girarle le spalle o che, forse, in molti casi lo ha già fatto.

“Il voto alla Lega non è il voto per la Tav, ma quello di chi ascolta i messaggi di Matteo Salvini e ne apprezza la linea sull’immigrazione e sulla sicurezza. Questo anche in Piemonte, dove come altrove l’elettorato è esteso nei ceti più popolari che produttivi”. È in questo cambiamento, dal capannone al barcone, confermato allo Spiffero dal sondaggista Antonio Noto che sta la ragione per cui la Lega non deraglierà sulla Tav. Chi lo spera ancora dovrà, quasi certamente, ricredersi a maggio, quando dalle urne delle regionali l’effetto di una pur eclatante inversione di rotta del Carroccio sulla grande opera ferroviaria in direzione dei Cinquestelle, influirà assai poco rispetto ai temi forti del Capitano, ai quali in ambito regionale potrebbero aggiungersi quelli tradizionalmente di presa come la Sanità e proprio quel trasporto locale che con le sue manchevolezze potrebbe oscurare almeno in parte la bandiera a favore della Tav.

Ma non sono solo i temi forti del leader leghista, quelli che gli hanno fatto portare un partito preso con percentuali infime a oltre il 35% con un fortissimo balzo anche rispetto alle politiche dello scorso anno, a blindare la Lega anche rispetto a quello che sarebbe un indecoroso voltafaccia per ragion di governo.  È quel “cambiamento dell’elettorato leghista in senso decisamente più popolare e assai più lontano da quello dell’impresa, più pronto a recepire messaggi sul tema della sicurezza che non a quello delle infrastrutture”, come ribadisce Noto, a contribuire a spiegare una mossa come quella fatta da Salvini con la mozione votata ieri e risultata indigesta a più di un leghista non certo di basso rango.

Non è un mistero che la decisione calata dall’alto non sia stata presa poi così bene da parlamentari e aspiranti consiglieri regionali di un partito che continua a dirsi a favore della Torino-Lione, che è andato in piazza senza simboli, ma con i suoi uomini di spicco, e che adesso si trova ad arrampicarsi sugli specchi appeso al sempre più debole filo del contratto di governo.

Un altro filo, quello con il mondo delle imprese che della Lega è stato a lungo capiente bacino di voti e simbolo di una politica del fare, si sta sfilacciando sempre di più. Se la rivolta degli industriali del Veneto contro il decreto dignità e altre misure del Governo per nulla digerite nel Nord-Est è stato un forte campanello d’allarme, da ieri più di prima in Piemonte suona una sirena. Probabilmente Salvini la ascolterà col piacere di chi parte al timone di una nave che non teme tempesta, certo di poter contare su altre navi e su altri elettori per approdare, magari con un uomo alla fine scelto da lui, al governo del Piemonte.

Sta di fatto che gli imprenditori si sono fatti sentire eccome: "Torino e il Piemonte significano il 7,7% del Pil italiano e soprattutto sono un territorio credibile e deciso a riprendere il cammino dello sviluppo – scrivono le associazioni in una nota congiunta –. Rappresentiamo qualcosa come 326mila aziende, 1,3 milioni di lavoratori, un fatturato pari a 130 miliardi di euro ed esportazioni per 48 miliardi e adesso, c’è il serio rischio per il nostro territorio di vedersi chiuso in un angolo, isolato dai grandi flussi commerciali ed economici, privo dei collegamenti essenziali per lo spostamento delle merci e delle persone”. Parlano di un “destino al quale il governo vuole condannarci fatto di un progressivo impoverimento che le imprese e i lavoratori di Torino, del Piemonte e dell’Italia”.

Lo strappo tra imprenditori e il partito che dopo la débâcle di Forza Italia aveva preso a raccogliere tra i suoi grandi elettori è sempre più evidente, in alcuni casi tra il clamoroso e l’imbarazzante come si suppone guardando al presidente di Confindustria Piemonte Fabio Ravanelli, un passato da consigliere comunale del Carroccio e solidissimi rapporti con i vertici leghisti, ma agguerrito nel difendere la Tav, ben oltre l’ammuina salviniana del contratto di governo messo col copia e incolla nella mozione di ieri.

Il suo omologo torinese, Dario Gallina, annuncia: "Il 28 febbraio sarò a Versailles insieme al Presidente Boccia, per il Forum Economico Franco-Italiano tra Confindustria e Medef, cui prenderanno parte anche i due ministri dell’Economia italiano e francese, Tria e Le Maire. Uno dei temi all’ordine del giorno è proprio la Tav, indispensabile elemento per un’effettiva integrazione tra i Paesi Europei”

Tranchant il giudizio sulla mozione Lega-M5s dato dalla laeder di Fratelli d'Italia  Giorgia Meloni, a margine della conferenza stampa congiunta con Silvio Berlusconi e Salvini, in Sardegna lo spiega così: “Non ci prendiamo in giro quel che c'è scritto nella mozione dice che la Tav non si fa. Sono molto arrabbiata e ne chiederò conto a Salvini".

Ma lui sa che invece saranno proprio molti dei suoi elettori, anche in Piemonte, a non chiedergli conto della Torino-Lione. Nel dress code del Capitano per le regionali di maggio ci saranno più giubbotti della polizia che caschetti da cantiere. 

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