VERSO IL VOTO

Regionali flop, panico nel M5s

Le elezioni in Abruzzo e Sardegna lanciano brutti presagi sul voto di maggio in Piemonte. "La sfida è difficile, ma corriamo per vincere", dice con scarsa convinzione il candidato presidente Bertola. E tra i grillini monta il malcontento verso i vertici

Se varrà la teoria sarda – “Di Maio non ci ha messo la faccia perché sapeva di perdere contro Salvini”, ha spiegato il grande sconfitto grillino Francesco Desogus – c’è da scommettere che il capo politico del M5s e con lui i nomi più in vista del suo partito, quando la campagna elettorale entrerà nel vivo, faranno attenzione a non valicare neppure di un metro i confini del Piemonte, come fossero cinti da campi minati. Cautele tattiche che, oggi, poco o nulla servono di fronte al panico dilagante tra i Cinquestelle nella regione il cui guardare al voto di maggio, dopo la batosta subita in Sardegna (preceduta da quella, un po’ meno, dura in Abruzzo) è come gettare lo sguardo in un orrido.

Ha un bel dire, anche se non potrebbe fare altrimenti, il candidato a presidente del Piemonte Giorgio Bertola che “ogni Regione ha una storia a sé”, aggiungendo il mantra secondo il quale “nelle consultazioni regionali il Movimento 5 Stelle ha qualche difficoltà in più rispetto alle coalizioni di centrodestra e di centrosinistra che raggruppano molte liste". Come se correre da soli fosse una regola imposta da altri e non uno degli ultimi capisaldi a traballare e sul quale hanno raccolto voti che, alla prova delle amministrative, fuggono come lepri il giorno d’apertura della caccia.

La realtà è quella di un partito che sta perdendo consensi e, come accade per tutti gli altri partiti, dietro arrampicate su specchi saponati riesce a fatica a nascondere tutti i segnali d’allarme che in questi casi arrivano sia dalle stanze dei bottoni, sia da quella militanza ogni giorno più disorientata per cambiamenti di rotta, totem abbattuti in nome della ragion di governo (il voto salva Salvini per dirne uno) e quindi sempre più in difficoltà nel credere che il successo ottenuto alle politiche del 4 marzo dello scorso anno sia stato solo l’inizio di una lunga marcia. Il prosieguo, invece, è stato fino ad ora solo inciampi e rovinose cadute. Cosa potrebbe evitare che ciò accada anche in Piemonte?

L’effetto Chiara Appendino, che già si è mostrato in tutta la sua inconsistenza proprio alle politiche dell’anno scorso quando neppure uno dei candidati grillini nei collegi uninominali è stato eletto e le vicende giudiziarie dirette e indirette che coinvolgono la sindaca ne hanno indebolito la sua figura già a dura prova per l’amministrazione della città e i non facili rapporti la parte più movimentista dei Cinquestelle?

Potrà imprimere al M5s in Piemonte una svolta opposta a quanto accaduto ieri in Sardegna un candidato presidente che certo non può vantare una grande notorietà, aldilà dello stesso movimento e dei suiveur dei lavori di Palazzo Lascaris, e che alle consultazioni interne è stato designato avversario di Sergio Chiamparino con 343 voti al primo turno e 1.540 al ballottaggio contro tal Luca Zacchero?

E ancora, non pare che i grillini piemontesi possano giovarsi di quello che, qui più che altrove, è stato il loro cavallo di battaglia per anni, quella feroce opposizione alla Tav sulla quale Di Maio continua a dire che si troverà un accordo con la Lega, come noto favorevole alla Torino-Lione e impossibilitata a cedere su questo punto per non rischiare di perdere una fetta di consenso e abdicare a favore di Forza Italia la battaglia per proseguire nei lavori.

Segnali chiari e duri, con annesse accuse di tradimento, sono arrivate ai Cinquestelle proprio dagli storici No Tav della Valsusa, sempre meno disposti a concedere fiducia a chi sulla questione non ha risposto come essi si attendevano, lasciando ormai pressochè sola la consigliera regionale Francesca Frediani a incarnare l'originaria linea dura senza compromessi. Cambiando binario e spostandosi sul Piemonte Sud, il via libera al Terzo Valico ha avuto come immediata reazione degli omologhi dei No Tav accuse ancora più dure di tradimento e promesse che quel loro voto i grillini se lo potranno scordare, a partire proprio dalle regionali.

Dopo il ko in Abruzzo Di Maio annunciò una rivoluzione, con la possibilità di ragionare su possibili apparentamenti a liste civiche e la nomina di responsabili territoriali, ma soprattutto un coinvolgimento più ampio della piattaforma Rousseau. Novità che per alcuni sono a dir poco indigeste. Perché il malcontento sta per travolgere anche la gestione di Davide Casaleggio. Stando a quanto raccontano voci pentastellate, sono in molti a non capire quale sia il vero ruolo del figlio del co-fondatore. Qualcuno si lamenta del fatto che Di Maio consulti più il presidente dell'associazione Rousseau dei suoi parlamentari: "Eppure ci siamo noi sugli scranni e sui territori, non lui".

Gli effetti dell’ecatombe sarda probabilmente non sono ancora emersi tutti e davvero poco pare servire la rassicurazione del vicepremier: “Il M5s è vivo e vegeto e va avanti”, così come il distinguo stile tribuna politica della Prima Repubblica per cui “è inutile confrontare il dato delle amministrative con le politiche, sarebbe come mettere le mele con le pere".

Panico è e panico resta, seppure negato. In Piemonte dove il M5s era passato dal 4,08 delle regionali del 2010 al 21,4 del 2014, sempre con Davide Bono candidato presidente, dove la luna di miele con la sindaca è durata meno di quanto tutti avrebbero scommesso e dove l’appiattimento dei Cinquestelle sulla linea di Salvini – va ricordato che il voto per salvare dal processo il leader leghista ha il non irrilevante significato politico di averne condiviso ogni scelta sulla questione Diciotti – porta l’elettore a scegliere l’originale piuttosto che la copia.

“In Piemonte la sfida è di quelle difficili – ammette il candidato presidente Bertola – ci dovremo confrontare con una coalizione di centrosinistra che rappresenta l'amministrazione uscente e con un centrodestra agguerrito ma noi ce la giochiamo e corriamo per vincere". Basterà questo ottimismo della volontà, per citare uno slogan in voga negli anni Ottanta in ben altri contesti e con altri profili politici, a scacciare un più che giustificato terrore di un’ulteriore caduta di stelle?

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