LA SACRA RUOTA

Fca-Renault, non disturbate il manovratore

Mentre la Francia entra a gamba tesa sul progetto di fusione chiedendo garanzie su produzioni, quartier generale e governance, a Torino nella quasi indifferenza di politica e istituzioni si fa affidamento sulla "furbizia" della famiglia Agnelli-Elkann

Franza o Spagna purché se magna. «Amsterdam o Parigi, conta poco. Conta capire il futuro e la destinazione degli stabilimenti torinesi, perché questo coincide con il tema dell’occupazione sul nostro territorio». E così, mentre il governo francese entra a gamba tesa nella ipotizzata fusione tra Fca e Renault chiedendo garanzie sul mantenimento delle produzioni, avanzando richieste precise sulla collocazione dell’headquarter e pretendendo dividendi straordinari e un posto per il proprio governo nel futuro board, a Torino il presidente della Camera di Commercio Vincenzo Ilotte pare non essere troppo preoccupato. Ancora una volta, sotto la Mole prevalgono logiche accomodanti, preferendo non disturbare il manovratore. Del resto, finora l’establishment imprenditoriale e politico ha concesso alla famiglia Agnelli-Elkann ampio credito, anche quando la Fiat ha alzato i tacchi trasferendo sede legale e portafoglio all’estero. «Ciò che conta – assicura Ilotte, imprenditore organico al sistema confindustriale della città – è tenere sul territorio la capacità di sviluppo dei marchi premium e non solo quelli. Sarebbe bello che il governo italiano approfittasse di questa fusione per creare le condizioni perché il nostro Paese diventasse maggiormente attrattivo per le multinazionali».

E proprio sull’assenza – come si definisce in questi casi “assordanti” – del governo gialloverde in una partita che potrebbe ridisegnare la presenza dell’industria automobilistica nel nostro Paese, spostando ulteriormente il baricentro produttivo e del mercato oltre confine, insistono i sindacati. Un paradosso, per un governo che si proclama sovranista. A dire il vero, con toni differenti, mentre continuano a tacere partiti e istituzioni. «Come c’era da aspettarsi il governo francese si è attivato immediatamente e preventivamente – attacca il segretario torinese della Fiom Edi Lazzi –. Noi pensiamo che non si possano mettere in contrapposizione i lavoratori francesi e quelli italiani, bisognerebbe invece attivare immediatamente un tavolo di confronto con i due gruppi industriali, i due governi e le organizzazioni sindacali per ricercare insieme soluzioni e garanzie per tutte le lavoratrici e i lavoratori. Certo è che il nostro governo dovrebbe essere più attento e attivo su questa vicenda, anche perché in questi mesi si gioca una partita sull’automotive il cui esito avrà forti ripercussioni sul ridimensionamento  del  settore nel nostro Paese». Per le tute blu della Cgil «sarebbe quindi utile effettuare subito almeno un incontro tra governo e sindacati italiani. Localmente, come già detto, appena si insedierà la nuova giunta regionale chiederemo un incontro per illustrare le nostre preoccupazioni e stabilire iniziative di intervento».

Suona la sveglia all’esecutivo Conte pure Dario Basso, segretario provinciale Uilm. «Mai come oggi, il governo italiano dovrebbe battere un colpo. I francesi sono nazionalisti e si sono già mossi, anche se non credo possano venire qui a dettare le condizioni a Exor. In ogni caso, benché in un contesto di mercato europeo, speriamo davvero che l’esecutivo italiano faccia qualcosa a difesa dell’Italia. Altrimenti continueremo a essere in balia dei gruppi stranieri che vengono a far shopping qui e poi se ne vanno, come dimostra di nuovo il recente caso WhirlPool».

Fa molto affidamento a furbizia e capacità di proprietà e gruppo dirigente di Fca, invece, Claudio Chiarle, segretario della Fim Cisl per Torino e provincia: «Il valore di Fca è superiore a Renault e mi pare chiara la preponderanza Fca: non credo che i manager nostrani, da Manley a Elkann, siano così “sciocchi” da farsi turlupinare, eppure sembra che sul tema della sede prevalga il male italiano del gioire se Fca subisce anziché acquisire». Le cifre elaborate da Fim confermano questa tesi: a livello di auto venture, Renault è a quota 3,9 milioni, mentre Fca ne registra 4,8. Sul fronte fatturato, ai 57 miliardi di Renault Fca ne oppone 110, con l'utile che se sul versante francese recita 3,4 miliardi (di cui 1,5 Nissan), per Fca ne conta 5, di miliardi. Infine, il valore in borsa: 15 miliardi per Renault, 18 per Fca. Nessun allarmismo, dunque. «Hanno dichiarato che gli stabilimenti italiani non sono a rischio, anzi potranno crescere e sono molti i vantaggi sul fronte del nostro Paese: avere nuovi mercati soprattutto per modelli di alta gamma, accelerare la produzione dell’elettrico e ibrido senza impattare sui costi, oltre al fatto che non ci sono significative sovrapposizioni di modelli e si potrà fare sinergie sulle piattaforme per il futuro». Inoltre, conclude Chiarle, il timore sulla collocazione della sede «mi pare l’ennesimo grido di allarme per creare paure e polveroni insensati. Chi ha paura che la sede sia in Francia quindi accetta che la sede sia in Olanda come già dichiarato? Oppure la sede è l’ennesima situazione in cui si fa polemiche senza costrutto?». Tutto vero, c’è però una contraddizione lampante: mente un governo, quello francese, scende pesantemente in campo a protezione di una delle proprie eccellenze produttive, in Italia facciamo i cosmopoliti.

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