POLITICA & GIUSTIZIA

"Su Rosso una mossa politica"

L'avvocato Piazzese, legale dell'ex assessore, critica la richiesta di costituirsi parte civile avanzata da Fratelli d'Italia (e della Regione): "Scelta giustizialista". Oggi l'udienza preliminare dopo cinque mesi di detenzione preventiva

“Sta come una persona provata da cinque mesi di detenzione, senza la possibilità di incontrare i familiari, una persona che ha la consapevolezza di essere totalmente estranea ai fatti contestati”. Così risponde Giorgio Piazzese, legale dell’ex assessore regionale Roberto Rosso, assieme al professor Franco Coppi, alla domanda sulle condizioni del suo assistito, nel giorno in cu è iniziata l’udienza preliminare per l’inchiesta Fenice, sui rapporti tra ‘Ndrangheta e politica. Rosso è in carcere dal dicembre scorso con l’accusa di scambio elettorale politico-mafioso. La Regione Piemonte e Fratelli d’Italia, il partito di cui faceva parte, hanno avanzato la richiesta di costituirsi parte civile. In particolare, per l’avvocato Piazzese, la scelta di FdI “significa sconfessare totalmente 25 anni di politica in cui il partito, a fianco di Forza Italia, si è battuto per una sorta di garantismo. Oggi FdI adotta, invece, una politica di tipo giustizialista nei confronti di una persona che in quarant'anni non ha mai riportato una condanna, una mossa squisitamente politica”.

Rosso è stato arrestato il 20 dicembre del 2019, in meno di 24 ore il partito di Giorgia Meloni già lo aveva espulso: “Apprendiamo che stamattina è stato arrestato con l’accusa più infamante di tutte: voto di scambio politico-mafioso. Mi viene il voltastomaco – erano state le parole di Meloni –. Mi auguro dal profondo del cuore che dimostri la sua innocenza, ma annuncio fin da ora che Fratelli d’Italia si costituirà parte civile nell’eventuale processo a suo carico. Ovviamente, fin quando questa vicenda non sarà chiarita, Rosso è da considerarsi ufficialmente fuori da FdI”.

Non solo Rosso. Il processo che vede imputate 14 persone, accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso e scambio elettorale politico-mafioso. Il processo fa seguito all’operazione “Fenice” condotta dalla Guardia di finanza di Torino, che lo scorso 20 dicembre ha portato a 8 arresti e 200 milioni di euro di beni sequestrati in Piemonte, Lombardia, Toscana, Lazio, Campania, Sicilia e Sardegna. Tra gli arrestati anche Onofrio Garcea e Francesco Viterbo, figure di spicco della ’ndrangheta radicata a Carmagnola (vicini alla famiglia Bonavota) e attiva nell'area meridionale di Torino, che dopo l’operazione “Carminius” del marzo 2019 stavano riorganizzando il sodalizio criminale, stringendo rapporti con il noto imprenditore torinese Mario Burlò. Quest’ultimo è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, in quanto con il sostegno della cosca avrebbe organizzato uno strutturato sistema di evasione fiscale attraverso la creazione di più società, riconducibili ad altre persone, tramite cui compiere compensazioni Iva tali da ottenere profitti consistenti. Un sistema che ha consentito di accumulare indebite compensazioni per oltre 16 milioni di euro, denaro che Burlò avrebbe utilizzato per acquistare diversi immobili. Secondo la ricostruzione dei magistrati torinesi, in occasione delle elezioni politiche regionali del maggio 2019, Garcea e Viterbo avrebbero stretto un “patto di scambio” con Rosso, candidato nella lista di Fratelli d’Italia, che con la mediazione di Enza Colavito e Carlo De Bellis avrebbe versato denaro in cambio di un pacchetto di voti.

Durante l’udienza preliminare di stamattina hanno chiesto di costituirsi parte civile, oltre alla Regione Piemonte, anche l’associazione Libera Piemonte  e il Comune di Carmagnola, unicamente per Roberto Rosso, come detto, il suo ex partito Fratelli d'Italia.

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