BENI COMUNI

L'acqua è già pubblica, Smat resta com'è

Tutto secondo le previsioni all'assemblea della società che gestisce il servizio idrico di Torino. Appendino recita la sua parte, ma la stragrande maggioranza dei comuni sconfessa la linea del M5s. Così cade un altro totem grillino

Nessuna sorpresa durante l’assemblea di Smat, la società del servizio idrico integrato, chiamata a pronunciarsi sulla proposta di trasformazione in azienda speciale consortile, avanzata dal Comune di Torino. La stragrande maggioranza dei sindaci – l’83 per cento – si è opposta, solo 29 su 176 hanno votato a favore. Certo il voto ponderato ha dato ragione ai sì che hanno prevalso con il 67% ma perché il capoluogo da solo vale il 63%.

Per modificare lo Statuto di Smat, e quindi modificare la sua ragione sociale, sarebbe stato necessario il voto favorevole almeno del 90% del capitale sociale e del 60% dei soci presenti in assemblea. Una missione impossibile, vista anche la posizione nettamente contraria assunta fin dall’inizio della discussione dai Comuni a guida Pd, tra i quali si è distinta la sola Nichelino, che ha votato a favore.

Chiara Appendino ha recitato diligentemente la sua parte sostenendo la tesi del Movimento 5 stelle: “Il Referendum del 2011 – ha detto – ha sancito la volontà degli italiani: l’acqua è un bene comune e deve rimanere pubblica”. Dunque non ci possono essere profitti dalla gestione del servizio idrico, semmai perdite che poi i Comuni soci avrebbero l’onere di ripianare. “Sarebbe ipocrita da parte mia dire che Torino potrebbe rinunciare da subito agli utili di Smat ma, sicuramente, un percorso di trasformazione che consenta di aver il tempo di ammortizzare la riduzione dei dividendi fino alla totale cancellazione è la strada da percorrere” ha proseguito Appendino, ben conscia dell’esito di una riunione che, come sa bene chi legge lo Spiffero, era segnato sin dall’inizio.

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La sindaca pentastellata non ha potuto far altro che tenere la posizione, andando incontro a una sconfitta annunciata per tenere insieme una maggioranza che, per ragioni prettamente ideologiche, avrebbe voluto imporre un cambio di rotta a una delle società pubbliche meglio amministrate, che produce milioni di utili, dà lavoro a oltre mille persone, fattura 400 milioni all’anno e vanta un piano d’investimenti di oltre 1,5 miliardi di qui al 2033.

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