INDUSTRIA & OCCUPAZIONE

Ex Ilva, allarme in Piemonte

Tra operai e sindacati dello stabilimento di Novi Ligure si temono effetti drammatici del piano lacrime e sangue presentato da ArcelorMittal. Fornaro (Leu): "Non è accettabile che a pagare il conto siano i lavoratori"

Un taglio di 3.200 posti già entro l’anno oltre ai 1.700 dipendenti in cassa integrazione che non torneranno al lavoro sono i drammatici numeri del piano industriale inviato ieri sera con una mail al Governo da ArcelorMittal.

Sulle maestranze dell’ex Ilva piomba un macigno che produrrà i suoi effetti su tutti gli impianti industriali e, quindi, oltre al colosso di Taranto e lo stabilimento di Genova i licenziamenti colpiranno una parte ancora non si sa quanto grande degli oltre 650 dipendenti dell’impianto di Novi Ligure, così come lo stabilimento di minori dimensioni di Racconigi.

Tra esuberi e mancati riassorbimenti, circa 5mila dipendenti rimarranno senza lavoro. Nei prossimi anni sono previsti ulteriori tagli per altri 3.300 posti. “Come sempre siamo gli ultimi a conoscere i contenuti dei piani industriali ma i primi a pagarne il conto”, la reazione del segretario generale Fim Cisl Marco Bentivogli. "Non sono accettabili gli esuberi dichiarati e una produzione che si assesterebbe intorno ai 6 milioni di tonnellate annue”.

Di una “situazione esplosiva” parla la segretaria generale della Fiom Francesca Re David che sostiene come “la crisi determinata dalla pandemia non c'entra assolutamente nulla. Negli stabilimenti la situazione sta diventando esplosiva per una gestione inadeguata messa in atto dall'azienda. È inaccettabile qualunque soluzione che smentisca l'accordo che abbiamo fatto che prevedeva zero esuberi. Riteniamo che questo piano sarà giudicato irricevibile anche dal Governo tanto più che adesso lo Stato entrerebbe nella proprietà”. Per la leader della Fiom “è urgentissimo che il Governo convochi i sindacati non a giochi fatti, ma nel pieno della discussione".

Mentre i sindacati annunciano la prosecuzione della mobilitazione già in atto, sul fronte politico il capogruppo di LeU alla Camera Federico Fornaro chiede che “il Governo renda pubblico il piano industriale proposto da ArcelorMittal e convochi subito i sindacati”. Il parlamentare alessandrino sottolinea come “gli impegni sull’occupazione vanno rispettati. Non è accettabile che a pagare il conto siano i lavoratori”.

Un recente accordo aveva portato nei giorni scorsi al reingresso in fabbrica di 323, circa la metà dell’organico in cassa integrazione per l’emergenza Covid, ma quell’accordo scade il 28 giugno. E ieri davanti all’impianto dell’Alessandrino è stata una lunga attesa per conoscere il piano arrivato a Palazzo Chigi solo in serata e del quale non si conoscono i dettagli. Si sa, invece, che ArcelorMittal ha chiesto un prestito di 600 milioni garantito dalla Sace e altri 200 a fondo perduto. Così come viene confermata l’intenzione della multinazionale di aprire alla partecipazione pubblica, dello Stato insomma. Un ingresso che l’azienda valuta in un miliardo di euro e che sommato al prestito, al fondo perduto e ad altre risorse portano la richiesta totale a due miliardi. Questo mentre con una mail si annuncia un taglio di 5mila posti di lavoro, da Sud a Nord, da Taranto a Novi Ligure, da Genova a Racconigi.

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