VERSO IL 2021

"A Torino non si vota in primavera",
asse giallorosso per rinviare le urne

I vertici romani del Pd e la parte governista del M5s non demordono: un tavolo per definire le candidature nelle grandi città. E la questione si intreccia con il rimpasto e il destino di Conte. Per questo vogliono far slittare le elezioni. Il racconto di un insider del Nazareno

Spingere le elezioni più in là. C’è anche questa opzione, per ora indicibile, ma giustificabile con l’incognita Covid e la campagna vaccinale, nel novero delle ipotesi e degli scenari del Nazareno dopo l’assoluzione di Virginia Raggi. Chi nel Pd aveva scommesso sulla condanna della sindaca di Roma (ed erano molti) deve rivedere i piani. Che non si limitano alla Capitale, ma prevedibilmente avranno un effetto domino sulle altri grandi città, incominciando proprio da Torino dove al travaglio sulla ricerca del candidato, per i dem adesso si aggiunge questa variabile ineludibile che lega le due grandi città conquistate nel 2016 dalle due donne del M5s. Se Chiara Appendino ha gettato la spugna, decidendo di non ricandidarsi, la Raggi va dritta lungo la strada segnata quando ancora era incerto l’esito del processo d’appello.

E proprio (anche) in virtù di quanto è capitato nelle ultime ore, ai vertici nazionali la piega che sta prendendo la vicenda torinese, con il profilarsi di un duello tra Stefano Lo Russo e Mauro Salizzoni rappresenta un serio ostacolo ai loro disegni. Per ragioni diverse, il capogruppo in Sala Rossa e il luminare dei trapianti oggi vicepresidente del Consiglio regionale, non rispondono al profilo del candidato sindaco in grado di agevolare quell’intesa tra i due partner di governo che entrambi, pur tra sfilacciature e tensioni nelle rispettive formazioni, si ostinano a voler perseguire. La necessità di trovare un nome il più possibile convergente con i Cinquestelle, se non subito almeno al secondo turno magari dopo una sostanziale desistenza grillina al primo giro, è un piano che i dirigenti nazionali dem, incominciando dal vicesegretario Andrea Orlando, coltivano da tempo.

Del “caso” Torino, insieme alle questioni delle altri grandi città che andranno al voto, se ne è parlato in una seri di incontri negli ultimi giorni, compreso quello che si dice vi sia stato tra Nicola Zingaretti e Matteo Renzi con al centro le vicende del BisConte e gli aut aut dell’ex rottamatore nei confronti del premier. E proprio il futuro dell’esecutivo – e di alcune carriere politiche (una per tutte, quella di Stefano Lepri, che pare ambisca in caso di rimpasto alla carica di sottosegretario al Welfare) – si intreccia con dinamiche e strategie in vista delle amministrative. Tant’è che basterebbe chiedere conto della risposta arrivata al protorenziano Davide Ricca alla richiesta rivolta al vertice di Italia Viva su come muoversi nell’agitato scenario delle comunali sotto la Mole. Gli sarebbe stato consigliato di abbozzare in attesa di capire quel che succede. E cosa capiterà è difficile dirlo, visto che il Pd non vuole rinunciare alla Capitale, ma questo con la Raggi in pista e lanciata dopo l’assoluzione rende la pretesa più complicata.

Se il più convinto fautore di un tavolo nazionale cui far sedere i due principali partiti di Governo per stabilire e spartire le candidature per le grandi città resta Luigi Di Maio, è proprio con lui che Appendino tiene contatti stretti e costanti. Rumors capitolini riferiscono che in alcuni di questi colloqui è tornata in ballo Paola Pisano, la ministra all’Innovazione la cui poltrona in caso di rimpasto non appare così salda e della quale si era parlato in più di un’occasione come di una possibile erede della stessa Appendino. Eredità che troverebbe ostacoli non solo nel Pd torinese, memore del disastro nella gestione dei servizi anagrafici quand’era assessora, ma pure da ampi settori dello stesso M5s, considerata da molti una sorta di corpo estraneo al movimento.

A questo punto e con una situazione ulteriormente complicata dalle novità che riguardano la sindaca di Roma, sul fronte dem – secondo un insider molto vicino a Zingaretti e che al Nazareno è tra quanti istruiscono il dossier Torino – si sta ragionando, o meglio ancora si sta confidando su uno spostamento del voto dalla primavera a settembre. Far decantare per un bel po’ di mesi situazioni complicate, prendere tempo per valutare anche le possibili evoluzioni del quadro politico rispetto al Governo, verificare ulteriormente processi ancora troppo confusi, sarebbe l’obiettivo di chi non nega neppure l’effetto negativo sull’elettorato della gestione, tra una sequela di Dpcm e messaggi contraddittori nonché misure penalizzanti per categorie di peso, che potrebbe riversarsi nelle urne a scapito del Pd.

Prendere tempo. Anche per verificare la possibilità di tirar fuori dal cilindro del centrosinistra alternative praticabili. Tra i nomi che circolano c’è quello di Mario Calderini, torinese emigrato al Politecnico di Milano, della cui collaborazione si è servita proprio la ministra Pisano per l’elaborazione del piano di innovazione tecnologica. Origini piddine, nella giunta regionale di Mercedes Bresso è stato presidente di Finpiemonte, da tempo è su posizioni molto critiche verso l’establishment del partito, cui non risparmia stoccate al vetriolo (a partire dall’ex sindaco Piero Fassino). Fumo negli occhi? Probabilmente, ma la dice lunga sulla confusione che regna anche nelle alte sfere romane. Lo scouting del Nazareno non si fermerà certo a lui, soprattutto se ci sarà più tempo.

Nessuna porta definitivamente chiusa, anche se tutt’altro che spalancata, per Salizzoni così come per Lo Russo. Quest’ultimo, non molto tempo fa, avrebbe avuto un lungo colloquio telefonico con Zingaretti, di cui lo stesso segretario ha raccontato di recente alcuni contenuti. Dal numero uno del partito il capogruppo avrebbe avuto la rassicurazione circa l’assenza di veti o pregiudizi alla sua candidatura, anche di fronte all’evidente imbarazzo che provoca una posizione come la sua, quella di essere oppositore in sede locale di una forza invece alleata al governo nazionale. La comune connotazione amministrativa, che risponde a logiche territoriali e non a fumose trame parlamentari, sarebbe stata citata da Zingaretti stesso quale ulteriore “prova” di comprensione.

La situazione, insomma, è quanto mai complicata. E se il Campidoglio è la madre di tutte le battaglie delle prossime amministrative di primavera, Torino (e Napoli, dove si parla di un accordo sul presidente della Camera, il grillo Roberto Fico) ne è una figlia morganatica. Se le urne slittassero per l’emergenza sanitaria o perché in piena campagna vaccinale risultasse complicato allestire i seggi, non sarebbe affatto male. E, infatti, l’ipotesi di uno spostamento a settembre della tornata elettorale è cresciuta parecchio nelle ultime ore. “Per ora teniamoli occupati a baloccarsi con fantasiose primarie online, poi si vedrà”, chiude la conversazione il nostro insider romano che ormai ha perso da tempo l’accento piemontese, neh.

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