VERSO IL VOTO

Manovre segrete Pd-M5s, spunta il nome di Calderini

I piani di dar vita a un'alleanza giallorossa per le elezioni di Torino sono tutt'altro che tramontati. Contatti riservatissimi a Roma e tra i maggiorenti locali dem e grillini. Il professore del Poli in "esilio" a Milano avrebbe tutte le carte in regola per sigillare l'intesa

Gira che ti rigira e si finisce sempre lì. In quel Politecnico fucina di talenti professionali e incubatore di classi dirigenti. Potrebbe essere un professore forgiato nelle austere aule di corso Duca degli Abruzzi il candidato sindaco del centrosinistra, ma non necessariamente Stefano Lo Russo, colui che a oggi sembra il più accreditato alfiere di una coalizione sull’orlo di una crisi di nervi. Manovre sotterranee, sondaggi riservati, abboccamenti che presto potrebbero portare a un’incoronazione, proprio mentre al Nazareno s’insedia il nuovo segretario del Pd Enrico Letta e il Movimento 5 stelle si riscopre ancor più partito di governo sotto la guida di Giuseppe Conte. È una fase magmatica, ideale per tentare un blitz partorito nei conciliaboli dei maggiorenti dem di Torino, chissà, probabilmente con il beneplacito di Chiara Appendino. Perché se nelle reazioni ufficiali, l’appello della sindaca a una coalizione unita sotto le insegne di Pd e M5s è caduto nel vuoto, c’è chi non si è mai rassegnato a estendere sin dal primo turno l’alleanza.

Le tracce lasciate qua e là portano Oltreticino, in un altro Politecnico, quello di Milano, dove il professor Mario Calderini ha trovato asilo lontano da Torino. All’ombra della Madunina insegna Strategia d’Impresa e Social Innovation, è direttore dell’Alta scuola politecnica, ma non ha mai smesso di seguire con attenzione (e un pizzico di malcelato rancore) quel che accade nella sua Torino e dove riveste ancora degli incarichi, come la guida del Cis, il Comitato per l'imprenditorialità sociale della Camera di commercio.

Cinquantacinque anni e un pedigree di tutto rispetto, Calderini, durante i suoi anni torinesi è stato presidente di Finpiemonte nella giunta di centrosinistra di Mercedes Bresso, e pupillo dell’allora rettore Francesco Profumo che lo volle con sé come consigliere per le politiche di ricerca e innovazione anche nel suo mandato ministeriale, durante il governo di Mario Monti. Al ministero dell’Istruzione Calderini ci è poi rimasto fino al 2018 negli stessi anni in cui è stato anche sherpa del Governo per la Presidenza italiana del G7. Insomma, una figura appartenente a pieno titolo all’establishment cittadino, anche se per fare un ulterio balzo nella accademica è stato costretto a trasferirsi a Milano. In questi anni non ha mancato di sparare a zero su quel Sistema Torino che ritiene, a torto o a ragione, responsabile del suo esilio. E in particolare ha sempre individuato in Piero Fassino l’emblema di quel blocco di potere imploso (solo in parte) con le amministrative del 2016. Un nome che potrebbe essere gradito, se non ai Cinquestelle, certamente ad Appendino. Il suo nome prese a circolare già all’indomani della nomina di Paola Pisano al ministero dell’Innovazione: fu tra i primi a essere contattato e dopo poco ingaggiato come consulente dalla neo ministra. Al suo posto, a Palazzo Civico, arrivò l’attuale assessore, Marco Pironti, vicinissimo a Pisano e oggi, a quanto si racconta, particolarmente attivo a tessere la tela che potrebbe riportare Calderini a Torino.  

Un nome certamente di alto profilo, così come lo erano o sono gli altri “politecnici” in lizza per la corsa al piano nobile di Palazzo Civico. Prima il rettore Guido Saracco, poi lo stesso Lo Russo che agogna il via libera da un partito e una coalizione in cui le resistenze sul suo nome restano fortissime. Ed è proprio in casa dem, in particolare dagli attici della sinistra, che le manovre si sarebbero intensificate nelle ultime ore.

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