SCOSSA

Iren, Torino si svena e non basta Appendino beffata da Pizzarotti

Il riacquisto delle azioni cedute nel 2018 è stato un esborso finanziario dispendioso, ma non servirà nemmeno a riconquistare la golden share tra i soci pubblici. Con il ritorno di Parma nel patto di sindacato Torino resta il terzo partner pubblico dell'utility

Un’operazione finanziariamente azzardata che rischia di rivelarsi inutile anche sugli assetti della nuova governance. Se da una parte, infatti, il riacquisto del 2,5 per cento delle quote di Iren da parte del Comune di Torino – attraverso la Città Metropolitana – si è rivelato un bagno di sangue potrebbe non consentire al capoluogo piemontese di ottenere più peso all’interno del patto di sindacato con gli altri soci pubblici.

Andiamo con ordine. La scorsa settimana, per scelta della sindaca Chiara Appendino, la Città Metropolitana di Torino, con una finanziaria costituita ad hoc – la Metro Holding Srl – ha acquisito il 2,5% di Iren, la stessa quota che il 26 novembre 2018 Palazzo Civico aveva ceduto per far quadrare i propri conti. Il prezzo della vendita, curata da Unicredit, fu di 1,85 euro ad azione, a sconto del 4,4% sulla chiusura di Borsa, con incasso di circa 60 milioni: il pacchetto di azioni Iren di Torino scese allora dal 16,3 al 13,8%, e la relativa erogazione di dividendi, nel 2019 e nel 2020, subì una contrazione rispettivamente di 2,7 milioni e di 3 milioni. Il riacquisto, avvenuto lo scorso 12 aprile da “investitori qualificati e istituzionali esteri” sconta la crescita del prezzo delle azioni Iren in questi due anni e così Torino si è ripreso ciò che era suo sborsando 2,53 euro ad azione, spendendo complessivamente 82,2 milioni, cioè 22 milioni in più di quanto incassato nel 2018. Si aggiungano i mancati incassi per i dividendi e altre spese per perfezionare l’operazione, curata questa volta da Intesa, e la minusvalenza raggiunge i 30 milioni.

Almeno ne sarà valsa la pena? Torino tornerà a essere il socio forte della multiutility rispetto a Genova e al gruppo dei Comuni emiliani? A quanto pare potrebbe non essere così. La risposta degli emiliani, infatti, è arrivata in queste ore sottoforma di una delibera con cui la Città di Parma dell'ex sindaco grillino Federico Pizzarotti è rientrata all’interno del patto di sindacato, accrescendo il peso degli emiliani. “Unendoci al Comune di Reggio e ad altri comuni reggiani, che detengono 22,63%, arriveremmo al 29,13%, che è più del 28,35% in mano a Torino” ha sottolineato l’assessore al Bilancio di Parma Marco Ferretti. Le quote sono quelle riferite al patto, ovviamente più alte rispetto a quelle detenute nel capitate complessivo di Iren: Parma possiede infatti il 3,1% (tramite la holding Stt e Parma Infrastrutture) ma la quota nel patto, in scadenza nella primavera 2022, è del 6,5%. A questo punto Torino resta il terzo socio pubblico per peso specifico. Oltre al danno la beffa.

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